La festa collettiva di Ferragosto in spregio alla politica. E non solo

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Tutti al mare. Aspettando settembre

Se non andiamo errati non era mai capitato che il campionato di calcio iniziasse prima di Ferragosto. Così come, in piena estate, non ricordiamo che ci si occupasse di elezioni con scadenze inderogabili nel mese d’agosto per la presentazione di simboli, programmi e candidati. Invece eccoci qui, con situazioni imposte dalle circostanze, i campionati mondiali a novembre, altra singolarità, e il rompete le righe anticipato, discusso e discutibile in parlamento.

Nel frattempo, l’Italia è in vacanza. Anzi, sempre le circostanze, in questo caso gli anni duri del Covid e del lockdown, hanno favorito l’esplosione della voglia di vivere, di per sé positiva se non fosse che a monte e a valle ci sono scenari che depongono male per il futuro prossimo venturo. Per carità, non intendiamo passare per Cassandre. Né il nostro obiettivo è di fare tribunette moraleggianti, che non ci competono affatto. Alle corte, le località turistiche mostrano il tutto esaurito, come se non ci fosse un domani. Invece e, per certi aspetti, e anche purtroppo, un domani c’è. Ma nessuno desidera farci troppo caso adesso.

Ai destini pallonari della propria squadra del cuore, si riserva comunque passione, e come no. Non certo o non tanto a ciò che succede e succederà in politica. Giornali e Tv dedicano ampio spazio agli accadimenti, liti e tradimenti, dei partiti e dei loro ineffabili rappresentanti, cosa buona e giusta soltanto per la categoria degli scriba che d’estate soffre per la scarsità di notizie. Non ci risulta però che la stragrande maggioranza della gente perda il sonno per Calenda, Letta, Meloni, Renzi, Salvini, Berlusconi, Conte e compagnia di giro. Di più, pare gliene importi meno di zero, stanchi della politica, meglio, stanchi di una certa politica che balla loro intorno, senza che niente e nessuno riesca a cambiarla in meglio. Stesse facce, stesse dinamiche, stesse meschinità. Tutti concordi, più o meno consapevolmente, con Mark Twain quando diceva: “Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare”. Basta soffermarsi sul Rosatellum per convincerci che il grande aforista statunitense aveva ragione: nel parlamento italiano ci va una schiera di nominati, non di eletti. A fare da sostegno il refrain di sempre: salvare le proprie chiappe.

La risposta la danno i sondaggi, che indicano in un abbondante 50 per cento dell’elettorato pronto a disertare le urne. Del restante 50, più della metà non sa ancora per chi andrà a votare. Insomma, dispersione di senso civico, di affidabilità, soprattutto di fiducia. “Tutti al mare” prospettava una volta Bettino Craxi in occasione di un referendum che egli giudicava sbagliato. Accontentato a scoppio ritardato: spiagge affollate di potenziali elettori che non ne vogliono sapere di urne, inflazione, crisi energetiche, rivoluzioni climatiche, virus che resistono e, attenzione, guerre. Ne abbiamo tutti le tasche piene. E, con esse, abbiamo anche l’acqua (quasi) alla gola. In autunno c’è chi è convinto che ci sommergerà. Vero? Falso? L’importante è non crederci, far vincere l’ottimismo e, se possibile, pensare ad altro. Anche se in Ucraina, tanto per dirne una, c’è chi continua a morire sotto le bombe. Da noi è la politica che le spara grosse. Per fortuna non sono pallottole, ma soltanto balle pre elettorali. Ecco, appunto, l’importante è non crederci. Almeno fino a settembre, quando la festa ferragostana sarà finita e, con molta probabilità, ci toccherà ricrederci. Non della politica, di tutto il resto.

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