L’Arcivescovo Delpini invoca «una visione comune. No a scorciatoie e populismo»

MILANO – L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha recitato il tradizionale “discorso alla città”, che come sempre anticipa la festività meneghina di Sant’Ambrogio e che si celebra nella storica basilica. Di fronte al sindaco di Milano Giuseppe Sala e al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, in prima fila con numerose autorità, tra cui anche il presidente della Provincia di Varese Emanuele Antonelli e il sindaco di Legnano Lorenzo Radice (nella foto sotto), il monsignore varesino, originario di Jerago, ha denunciato l’«emergenza spirituale» in atto e ha richiamato alla necessità di «unità» e di «una visione comune» in questa fase di emergenza sanitaria. Nei confronti della politica tira stilettate molto chiare: «Assistiamo troppo spesso a scontri verbali deprimenti e polemiche arrabbiate. Si deve dire che lo spettacolo è piuttosto squallido, ma è solo spettacolo. La gente pratica un altro stile, è presa da altri pensieri. La gente è seria e si dedica alle cose serie». Chi ha da intendere, intenda.

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L’emergenza spirituale

Don Mario Delpini afferma che è in atto «un’emergenza spirituale», intesa come «lo smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale e permette così ai diversi frammenti di imporsi e dominare la scienza. Ne deriva la condizione di aridità degli animi che sono come assediati dalle emozioni, dalle apprensioni, dalle notizie della pandemia», ma anche «dal diluvio di aggiornamenti, di fatti di cronaca, di rivelazioni scandalose, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi». I mesi dell’emergenza sanitaria «sono stati e sono una dura lezione per la gente e hanno decretato il fallimento dell’io e dell’individualismo. Come ricorda Papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo insieme».

L’elogio

L’arcivescovo fa l’elogio di chi «rimane al proprio posto», delle persone «che hanno sentito in questo momento la responsabilità di far fronte comune, di moltiplicare l’impegno». Grazie a loro, dice Delpini, «la città funziona anche sotto la pressione della pandemia. Rimangono dove sono, come una scelta ovvia; affrontano fatiche più logoranti del solito, come una conseguenza naturale della loro responsabilità. Rimangono al loro posto e fanno andare avanti il mondo: gli ospedali funzionano, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici funzionano».

La politica

Parole nette anche sulla politica che compie scelte in questa fase. «Si dovrebbe trovare una via semplice, persuasiva, democratica per decidere – il monito dell’Arcivescovo Delpini – infatti, la suscettibilità litigiosa, il puntiglio di difendere il punto di vista e l’interesse particolare, la complicità di una burocrazia cavillosa rendono i procedimenti decisionali di una lentezza scoraggiante e si finisce per compiere sforzi sproporzionati per produrre minuzie, aggiustamenti inadeguati, compromessi insoddisfacenti». Ma, avverte monsignor Delpini, «non esistono scorciatoie. L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte “facili” del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti». Fino ad affermare, in modo sibillino: Voglio ringraziare e incoraggiare coloro che comprendono che c’è un momento per farsi da parte, che non si ritengono inamovibili né insostituibili e prendono la decisione saggia di lasciare il posto ad altri».

Il “discorso alla città”

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