Lasciò morire la figlia di stenti, Alessia Pifferi può sostenere il processo

MILANO – Alessia Pifferi, la donna di 37 anni accusata di aver a lasciato morire di stenti la figlia Diana, 16 mesi, la scorsa estate a Milano, può affrontare il processo. È quanto deciso ieri dalla Corte d’Assise di Milano, in risposta a un’istanza della difesa che ha messo in dubbio la sua capacità di stare in giudizio, subordinata a una perizia psichiatrica. Secondo la Corte, posizione sposata anche dai pm Rosaria Stagnaro e Francesco De Tommasi, quanto emerso da un esame clinico svolto nel carcere di San Vittore dove Pifferi è detenuta non avrebbe fornito alcun elemento che metta in dubbio le capacità della donna di prendere parte al giudizio.

Al termine dell’udienza di ieri, la sorella della 37 enne ha detto ai giornalisti che Alessia non ha mai chiesto scusa per quanto accaduto a sua figlia. La donna, insieme alla madre, si è costituita parte civile al processo. È possibile che la difesa chieda, nel corso del processo, una perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere al momento dei fatti.

La tragedia e le responsabilità di Pifferi

Sei giorni di solitudine e stenti, tra il 14 e il 20 luglio 2022, hanno portato la piccola Diana alla morte. Lasciata sola in casa, nella sua culla, senza cibo né acqua e con le tapparelle abbassate, la piccina è deceduta per disidratazione, mentre la donna che l’ha messa al mondo era in compagnia del suo (ignaro) fidanzato, in provincia di Bergamo.

Pifferi, secondo le indagini, in quei sei giorni è anche passata da Milano con il compagno, che era convinto che la bambina (non sua) fosse stata affidata ad altri parenti, non è neppure andata a controllare come stesse la figlia. Gli inquirenti, che le hanno contestato anche la premeditazione, nel spiegare il rigetto della perizia sulla capacità di stare in giudizio, hanno ricordato anche il suo primo interrogatorio in Questura, dove sarebbe apparsa lucida e orientata nel tempo e nello spazio.

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