Cuvio, anziano morto alla casa di riposo: le imputate in aula raccontano la tragedia

VARESE – Si gettò da una finestra della casa di riposo “Residenza Prealpina” di Cuvio, di cui era ospite nel marzo 2017, morendo infilzato sulla recinzione esterna. Per il decesso dell’uomo, un 74enne affetto da un grave decadimento cognitivo, sono a processo quattro persone: l’allora rappresentante legale della struttura, un medico e due operatrici socio sanitarie. L’accusa è di cooperazione in omicidio colposo, per non aver vigilato correttamente sull’anziano.

Oggi, martedì 11 luglio, in tribunale a Varese, le due oss hanno fornito la propria versione dei fatti, affermando che il 74enne, poco prima di compiere l’estremo gesto, dormiva nel suo letto.

«Prescrizioni rispettate»

Le due imputate hanno raccontato che quella tragica sera, circa mezz’ora prima che scattasse l’allarme per l’improvvisa scomparsa dell’anziano, lo stesso era in stanza, con le spondine del letto alzate e una fascia stretta attorno al corpo, e assicurata al letto. Prescrizioni necessarie, visti i tentativi di fuga già compiuti dall’uomo, l’ultimo la sera prima del suo decesso, quando era stato trovato in stato confusionale fuori dalla casa di riposo. Circa ventiquattro ore dopo, l’anziano si gettò da una finestra, in un frangente in cui la sua stanza non era sorvegliata a vista. L’uomo, secondo la ricostruzione ricavata dalle indagini, lasciò il suo letto, raggiunse un’altra stanza, al primo piano dell’edificio, e lì si gettò di sotto. Fu ritrovato all’alba, già privo di vita.

Il mistero della fascia

Per le due oss, il 74enne riuscì a scivolare fuori dal letto, liberandosi della fascia protettiva, non ritrovata, però, durante le indagini dei carabinieri. Le due dipendenti erano da sole in servizio la notte dei fatti, e dovevano occuparsi di numerosi pazienti distribuiti tra “casa albergo” ed Rsa, due aree diverse, ma confinanti, della stessa casa di riposo. Una struttura in cui, per l’accusa, non era possibile vigilare in modo corretto sul paziente.

L’amministratore di sostegno

In aula è stata ascoltata anche la testimonianza dell’avvocato che nel 2016 aveva ricoperto il ruolo di amministratrice di sostegno dell’anziano. La legale ha confermato che l’uomo era affetto da una grave disabilità intellettiva, per la quale non era in grado di gestirsi autonomamente durante la giornata. Per lo stesso motivo l’amministratrice aveva chiesto al Comune di residenza dell’uomo di farsi carico di una parte delle spese necessarie a trasferirlo in una residenza sanitaria assistenziale. Fu così che l’anziano arrivò a Cuvio dove tuttavia in quel momento, stando agli elementi emersi fino a qui dal processo, i posti in Rsa erano tutti occupati. L’uomo fu quindi collocato in uno spazio diverso, senza assistenza h24 perché di norma destinato agli ospiti autosufficienti. Lo spazio in cui trovò la morte nel marzo di sei anni fa.