‘Ndrangheta a Lonate e Ferno: Rispoli in quarantena. Parlerà a giugno

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LONATE POZZOLO – Vincenzo Rispoli in quarantena: slitta la discussione in aula a Milano. Discussione rimandata al 15 giugno sia per lui, difeso dagli avvocati Lucia Corigliano e Michele D’Agostino, che per Mario Filippelli, difeso dall’avvocato Gianluca Fontana.

Rispoli parlerà a giugno

Il motivo della quarantena è presto detto. Rispoli, coinvolto nell’operazione Krimisa, considerato il boss assoluto della cosca collegata alle ‘ndrine cirotane, già vertice della locale Lonate-Legnano smantellata dall’inchiesta Bad Boys del 2009, è stato trasferito dal carcere di Tolmezzo (Udine) a quello de L’Aquila dopo essere stato sottoposto al 41 bis, regime di carcere duro destinato ai condannati per mafia (Rispoli è già stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed è ora a processo con lo stesso capo di imputazione) su richiesta al Dap della procura di Milano: secondo i pm il boss avrebbe affidato ai famigliari messaggi in codice per gli affigliati fuori dal carcere durante i colloqui.

In quarantena dopo il trasferimento a L’Aquila

«C’è stato un cambio di regione, dal Friuli all’Abruzzo, e di conseguenza, come prevede la legge il mio assistito deve essere sottoposto a un periodo di quarantena – spiega D’Agostino – Non avrebbe potuto nemmeno raggiungere la saletta dove collegarsi da remoto con l’aula milanese. Dovendo fare spontanee dichiarazioni la scelta è stata quella di rinunciare all’udienza in modo da non bloccarla, avrebbe anche potuto non farlo rallentando il processo ma ha agito con responsabilità, con rinvio della discussione al prossimo 15 giugno. Data in cui la quarantena sarà finita e il mio assistito potrà avere accesso al collegamento con l’aula e fare le proprie dichiarazioni».

Il processo va avanti

Nello stesso procedimento compare anche l’ex consigliere di Fratelli d’Italia Enzo Misiano e altri coinvolti nell’inchiesta considerati dagli inquirenti vicini alla cosca. Cosca che a quanto pare, secondo l’autorità giudiziaria, aveva affari di ogni genere, investiva nei parcheggi vicini a Malpensarisolveva le proprie “questioni” imprenditoriali con botte e minacce. Ai boss si rivolgevano anche i cittadini comuni per risolvere contenziosi con terzi e ottenere “giustizia”. A gennaio l’accusa aveva chiesto condanne per un totale complessivo di 160 anni.

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