Siamo tutti Mancini? Un bel dilemma

mancini arabia nazionale

Il calcio (non quello “nel sedere” punitivo o, in certi casi, “facilitante”) inteso come sport nazionale, è sempre stato un fenomeno sociale che, via via, è diventato anche economico e oggi minaccia di trasformarsi in fenomeno politico.

Mister Mancini, con le sue a dir poco “pasticciate” dimissioni da allenatore della nostra nazionale, per assumere l’analogo incarico per la nazionale dell’Arabia Saudita, ha messo in gran luce tutti questi aspetti che hanno rapidamente spostato una questione tipica delle pagine della “Rosa” in quelle del “Corrierone” e dei Tg di “Mamma Rai”.

In sintesi: una decina di giorni dopo aver accettato pubblicamente la prosecuzione del suo incarico in Patria, il Mancio ha proditoriamente rassegnato le dimissioni per motivi ufficialmente tecnici e personali, ma intuitivamente (come poi confermato dai fatti) esclusivamente economici.

Per capirci ancor meglio, le notizie dicono che, nei prossimi tre anni, il mister percepirà dai signori del petrolio una cifra che per lo stesso periodo corrisponderà alla somma degli stipendi medi (Istat) di 1.600 italiani.

Un bel colpo che, per lui e il suo team di collaboratori, è risultato comprensibilmente irrinunciabile, e che, altrettanto sinceramente, nessuno poteva chiedergli di non farlo.

Ma Mancini, un quasi eroe nazionale, non avrebbe dovuto dimenticare che la Nazionale di calcio è qualcosa che rappresenta ed appartiene a tutti gli italiani che, se non nella sostanza, avrebbero dovuto essere rispettati perlomeno nella forma.

Una forma totalmente sbagliata per aver lasciato la squadra senza guida a meno di un mese da importanti impegni, determinanti non solo per l’orgoglio nazionale, ma anche per aspetti promozionali, di immagine ed economici che vanno al di là del puro aspetto sportivo.

E’ vero (ricordando Shakespeare) che “se il denaro scorre veloce tutte le porte si aprono” ma è altresì vero che 10 giorni prima lui sapeva che qualche porta si stava aprendo e avrebbe potuto evitare di prendersi altri impegni. Mancanza di personalità, bieco calcolo di opportunità?

Quello che si vuole; e non vale la scusante del professionismo più avido imperante, perché anche nel professionismo esiste una etica che ancor più ha valore quando si rappresenta la propria nazione.

bottini ferie villeggiatura
Gian Franco Bottini

Certo che dal punto di vista umano il quasi eroe Mancini ha dimostrato di tenere in poco conto la simpatia e l’affetto che giustamente si era guadagnato dagli italiani. A maggior ragione lui questo lo dimostra se mentre compare sui nostri teleschermi un (fino ad ieri) accattivante spot nel quale Mancini promuove l’Italia e le sue Marche, ai visitatori della rete, contemporaneamente, viene proposto un molto simile spot nel quale, con ampie vedute sulle bellezze arabe, lo stesso mister dichiara che dopo averci fatto grandi in Europa ora è tempo per lui di fare la storia (solo calcistica speriamo!) dei sauditi. Saremo noi deboli di stomaco, ma questa cosa ci risulta ldifficilmente digeribile per tempistica, mancanza di sensibilità e rispetto. Forse, anche per ciò, delle pur doverose scuse, del resto mai giunte, sarebbero insufficienti!

Un telegramma firmato J.J. Rousseau però lo spediremmo volentieri al Macio: “Il denaro che si possiede è strumento di libertà, quello che si insegue è strumento di schiavitù

Per chi segue i fatti sportivi il caso Mancini è forse fra i più eclatanti ma non è l’unico riguardante, soprattutto in Europa, un settore che definirlo sport diventa oramai sempre più difficile mentre risulta più facile classificarlo nell’ambito di quei cunei politico-economici in atto, in una operazione di aggressione (in qualche caso guerra!) verso l’Occidente, la sua cultura e le sue eccellenze.

Restando nel campo calcistico e prendendolo come esempio di un ben più vasto problema, il “fiume di denaro” che si è messo a scorrere sopra ogni logica e previsione, sta aprendo facilmente tutte le porte e, a quanto pare, anche quelle più riservate che decidono campionati mondiali nel mese di dicembre o partite di coppe storicamente nazionali svolte all’estero.

Anche a chi ha il proprio nome sul campanello di queste porte ci piacerebbe inviare il telegramma di J.J.Rousseau.

E’ chiaro che il calcio è pur sempre un gioco, ma l’impatto sociale e l’entità economica che lo accompagnano non possono oramai non farlo considerare qualcosa di più significativo, degno di attenzioni che vadano oltre il campo verde.Del resto un uomo di calcio di grande buon senso e spirito di osservazione come Bearzot, più di un decennio fa così si espresse: “A causa dell’ingresso dei grandi sponsor sembra che il denaro stia spostando i pali delle porte”.

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