di Massimo Lodi
Una donna sola al comando. Meloni accredita l’idea, mix d’orgoglio-sacrificio. Nella long conference d’inizio ’24 (tre ore, con celere pausa pipì) testimonia: io mi sbatto, non altri allo stesso modo, ed è l’ora irrevocabile di cambiare. Una frustata agli allegri fedelissimi: siate più responsabili. Respinge il familismo di cui l’accusano (normale circondarsi di chi è fidato e bravo), e respinge Pozzolo (richiesta di sospensione dell’uomo-pistola). Dà ricovero a Salvini (estraneo al caso Verdini), e dà ricovero alla certezza d’unità di coalizione verso la chiamata europea (faremo un virtuoso confronto interno). Afferma il diritto d’esercitare oggi a destra i ruoli che un tempo si esercitavano a sinistra, e afferma che il potere legittima i detentori consacrati dalla democrazia, ricordando all’attuale minoranza i due pesi-due misure cui spesso fece ricorso quand’era maggioranza.
Fin qui nulla d’imprevisto, compreso il vittimismo da underdog cui è capitato di guidare il gioco politico (c’è chi vuol darci/darmi le carte, ma io non sono ricattabile. Naturalmente, niente nomi dei ricattatori). È invece imprevisto l’orientamento a candidarsi -un escamotage acchiappa suffragi: alla nomina seguirà la rinunzia- per il Parlamento di Strasburgo e Bruxelles. Ne consegue l’obbligata scesa in campo d’ogni leader, amico e nemico, nazionalizzando la chiamata alle urne. Giorgia fa intendere: andiamo e contiamoci, decida il proporzionale qual è la situazione italiana di mid-term, o pressappoco. Prova di forza, dunque, suggerita anche da varie debolezze: il Paese non scoppia di salute, a proposito del tema ignorato dal botta/risposta giornalistico. Se questa prova dovesse marcare con gli alleati un differenziale superiore al dato di settembre ’22, preluderebbe al rimpasto estivo. Con eliminazione di zavorre governative, negate dalla premier e invece esistentissime.
Imprevisto pure il consenso al faccia a faccia televisivo con Schlein. Significa: 1) riconoscerne la leadership piddina, indebolendo i detrattori della segretaria, più pericolosi di lei; 2) costringerla a dire di sì, dopo aver detto di no al confronto propostole nella festa di Atreju, pena l’accusa di voler fuggire; 3) relegare in secondo piano Conte, avversario di sinistra portatore di ben maggiori insidie, perché capace d’un trasversalismo populista simile a quello dell’inquilina di Chigi; 4) dare di sé l’immagine opposta alla vulgata cara ai detrattori: pronta a discutere coi più lontani dal suo pensiero, anziché avversa alla dialettica liberale. La donna sola al comando ci tiene a esserlo ancora di più, ammantandosi dell’aura necessaria a perseguire il sogno -eccolo, l’obiettivo vero- d’un centrodestra riunito in partito unico. Se ne riparla dopo il 9 giugno.