Tragedia di Mesenzana, mamma Luana: «Non avrei mai dovuto lasciargli i miei figli»

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MESENZANA – “Non dovevo lasciargli i miei figli. Non dovevo lasciarglieli“. Luana Vivirito, 35 anni, la mamma di Alessio, 7 anni, e Giada, 13 anni, uccisi all’alba di ieri, giovedì 24 marzo, dal padre, Andrea Rossin, operaio di 44 anni, poi suicidatosi con lo stesso coltello usato per assassinare i suoi bambini, lo ripete ossessivamente ai carabinieri che ieri hanno preso un primo verbale mentre la donna era ricoverata all’ospedale di Cittiglio.

Voleva punirmi

Dalla casa di via Pezza a Mesenzana, dove sino a due settimane prima anche lei viveva con il compagno e i due figli, mamma Luana ieri è uscita in ambulanza. E’ stata lei la prima a vedere. E’ stata lei a scoprire l’orrore immaginato e attuato dall’ex compagno per “punirmi. Forse pensava non gli avrei più fatto vedere i bambini, ma non mi sarebbe mai venuto in mente una cosa del genere“. Luana è viva perché respira. Il cuore pompa meccanicamente perché è un muscolo ma non batte più veramente. Non lo fa da quando alle 8 di ieri, arrivata per portare i figli a scuola, ha posato gli occhi su Alessio, uno scricciolo alto poco più di un metro riverso a terra, e su Giada, che il 31 marzo avrebbe compiuto 14 anni, a letto, con le mani giunte sul petto quasi fosse un angelo. Niente sangue, perché il colpo al cuore che l’ha uccisa nel sonno, è stato netto e letale.

Geloso e asfissiante

Probabilmente si interroga mamma Luana sul perché dell’abominio. Come si interroga un’intera comunità sotto shock. La 35enne due settimane fa aveva deciso di interrompere una relazione che durava da anni. Era tornata a vivere con i genitori perché, stando al poco raccolto sinora viste le condizioni della donna, Rossin era diventato ossessivo. Un controllore asfissiante al quale lei aveva infine deciso di sottrarsi. Stando a quanto ricostruito sinora dagli inquirenti la coppia non era mai stata litigiosa. Non c’è, insomma, uno zenit di rabbia che per Rossin avrebbe potuto rappresentare un fattore scatenante. Una minaccia, un diverbio violento. Non c’è niente. Tanto che l’omicida non ha lasciato un biglietto, un messaggio, come è accaduto con Davide Paitoni, che il 2 gennaio ha ucciso il figlio Daniele a Morazzone, che al contrario era stato prolisso nel raccontare con numerosi messaggi il rancore verso la ex moglie. Rossin non ha vergato una parola, quasi nemmeno lui sapesse dare una spiegazione al gesto orrido che stava per commettere.

Acquisite le cartelle cliniche

La procura di Varese in un comunicato diffuso ieri ha parlato di “problemi psichici” per il 44enne. E’ su questo punto che oggi si concentreranno probabilmente le indagini. La patologia di cui Rossin avrebbe sofferto non ha ancora un nome. Ci sono i verbali dei famigliari dell’uomo che lo descrivono come “fuori di testa”. Ma gli accertamenti dovranno essere fatti con metodo. I carabinieri hanno già acquisito parte delle cartelle cliniche di Rossin. C’è forse stato un ricovero nel passato dell’uomo. Ma stando a quanto raccolto sinora non emergerebbe una situazione di maggiore criticità rispetto a quella di tante altre persone sotto cura psichiatrica e sottoposte all’utilizzo di psicofarmaci che conducono una vita tutto sommato socialmente normale. Il medico curante di Rossin non è ancora stato sentito (è in isolamento positivo al Covid). Ma l’inchiesta dovrà ricostruire le condizioni di salute mentale dell’omicida attraverso l’analisi delle cartelle e la testimonianza dei professionisti che lo hanno avuto in cura per valutare il quadro nella sua interezza e verificare che non vi siano stati comportamenti negligenti. Forse è a questo contesto che ieri si riferiva uno zio dei bambini quando ha sussurrato: “Qualcuno avrebbe dovuto aiutarlo“. Ma è ancora tutto nella fase iniziale.

Tragedia imprevedibile

I carabinieri della compagnia di Luino e del comando provinciale di Varese, nel frattempo, hanno praticamente passato al setaccio il passato della famiglia. Fascicoli personali, rapportini eventuali, possibili segnalazioni o chiamate di soccorso. Non c’è niente. Non una denuncia, nemmeno una confidenza fatta a un famigliare o a un amico, su eventuali comportamenti violenti da parte di Rossin. Non un’ombra che potesse far presagire una tragedia simile. Che pure è reale e sotto gli occhi di tutti nella sua assoluta crudeltà.

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