L’amica di Comi ritratta in aula: «Ho immaginato la tangente. Ero in blocco»

MILANO – Tre interrogatori coerenti poi, oggi lunedì 28 novembre, l’esame in cui ritratta tutto. Maria Teresa Bergamaschi, l’avvocato-commercialista esperta di bandi europei amica di Lara Comi, eurodeputata, è comparsa davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Guidi rivedendo, a più riprese anche in contraddizione tra loro, quanto già dichiarato sulla presunta tangente da 10mila euro da versare a Giuseppe Zingale, allora direttore di Afol, per una consulenza in tre step del valore complessivo di 80mila euro.

Ero in blocco psicologico

Bergamaschi oggi si è però trovata di fronte una decisa Pm Silvia Bonardi che andando avanti a contestazioni evidenti sulle discrepanze su quanto dichiarato in tre interrogatori e quanto stesse asserendo davanti ai giudici ha chiesto: «Mi sta accusando di falso?». E allora la teste-imputata (che non ha l’obbligo di dire la verità ma può anche avvalersi della facoltà di non rispondere) ha virato, al limite della richiesta di rinvio degli atti per calunnia, arrivando alle lacrime e dichiarando: «Io volevo solo andare lì (dai Pm, ndr) e spiegare che il lavoro lo avevo fatto. Ho sentito che non mi credevano. Ho avuto un blocco psicologico e allora ho immaginato a cosa avrebbero potuto credere e l’ho detto. Non voglio incolpare nessuno: sono io che l’ho immaginato. Ho immaginato la dazione (tangente, ndr) e poi non ho più riguardato i verbali. Era sera. Volevo andare a casa». Verbali di interrogatorio che Begamaschi ha firmato (con possibilità di rilettura prima di apporre la firma stessa) alla presenza di un avvocato difensore.

Per tre volte?

Una tangente immaginata. A causa di un blocco psicologico dovuto allo shock degli arresti e del ritrovarsi indagata. Ma immaginata. «Per tre volte?», ha chiesto il presidente Guidi. L’odierna versione di Bergamaschi non vede più studiare un sistema per fare “provvista” dei soldi necessari a pagare la mazzetta a Zingale presentatole da Comi perché Afol non riusciva ad accedere ai bandi europei smezzando i 10mila euro in due: 5mila da altra consulenza, sempre fattale ottenere da Comi, questo quanto dichiarato in interrogatorio, e 5mila dai compensi per la stesura di un libro sui bandi europei per l’europarlamentare. Per i primi 5mila euro esiste anche una fattura (falsa per l’accusa) da 6.100 euro (5mila + Iva) quale pezza giustificata con la dicitura consulenza.

La retromarcia

Oggi Bergamaschi ha dichiarato, dopo aver ammesso l’immaginazione di una mazzetta a causa di un blocco psicologico, che i primi 5mila euro erano compenso per Comi per averle fatto ottenere il lavoro e averle garantito un endorsement europeo, e che per il libro era invece stata pagata 2.500 euro, compenso andato al socio che il libro lo aveva scritto davvero. In tutto questo, stando all’accusa, sarebbe stata in corso una lite tra Zingale e Comi: il primo non pagava Bergamaschi perché avrebbe stentato ad eseguire il lavoro, la seconda lamentava invece il mancato compenso davanti ad un lavoro ben fatto. E chi sarebbe stato chiamato a fare da paciere? Nino Caianiello, l’ex plenipotenziario di Forza Italia al quale, parole sue, tutti si rivolgevano.

Il regalo di Natale

Bergamaschi oggi ha fatto retromarcia su tutta la linea. Comi, sentita dopo di lei, ha spiegato che i primi 5mila euro erano stati versati ad una sua società per una consulenza davvero eseguita e ha sottolineato che per il libro Bergamaschi era stata pagata. Resta sul piatto il “regalo di Natale” che Zingale avrebbe preteso. Sul punto c’è un vocale Whatsapp di Comi a Bergamaschi (sentito in aula) dove l’eurodeputata invita l’avvocato-commercialista a un incontro con Zingale parlando, appunto, della possibilità che Zingale esigesse un “regalo di Natale” inteso, dall’accusa, come mazzetta da 10mila euro. Sul punto Comi ha replicato: «Qualche giorno prima Caianiello mi disse che aveva bisogno di soldi. Io dissi no. Ma immaginai che Zingale avrebbe potuto chiedere a Bergamaschi una retrocessione a suo nome». Comi definirà “cretina” l’amica in un’intercettazione per essersi presentata davanti ai Pm con avvocato d’ufficio e cellulare (dal quale sono arrivate le chat di Whatsapp finite agli atti).

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