Lara Comi davanti ai giudici: il lavoro rifiutato da Caianiello e l’incarico alla mamma

MILANO – «Non ho mai dato un euro a Caianiello». Torna in aula il processo Mensa dei poveri e oggi, lunedì 28 novembre, davanti alla collegio presieduto dal giudice Paolo Guidi ha reso esame Lara Comi, imputata per truffa ai danni dell’Unione Europea e corruzione nell’inchiesta che, nel maggio 2019, portò all’arresto tra gli altri di Nino Caianiello. All’epoca plenipotenziario di Forza Italia, secondo l’accusa il mullah era il perno di un vasto sistema di corruzione e nomine pilotate, vertice tra le province di Varese e Milano.

Un lavoro per Caianiello

L’allora europarlamentare azzurra, poi divenuta ex con le elezioni del 2019 e nel frattempo tornata in Europa dal 7 novembre scorso dopo la rinuncia per incompatibilità alla carica a Bruxelles del numero uno di Forza Italia Silvio Berlusconi in favore del Senato, ha confermato quanto già detto dal Mullah: neanche un euro a Caianiello. Ma Comi si è anche spinta oltre: «Non ho mai retrocesso nulla nonostante le pressioni». E ha aggiunto: «Non è che all’epoca Caianiello fosse la persona Zen che avete visto qui; all’epoca era molto fisico». Le richieste di denaro non erano mai dirette: mai una cifra o una data in cui pagare. «Ma – ha spiegato Comi – affermava continuamente di aver bisogno di soldi, di non riuscire ad arrivare alla fine del mese. Tanto che io mi offrii di aiutarlo a trovare un lavoro in un’azienda privata: lui disse di no. Non era interessato». Caianiello, dopo una prima condanna per corruzione (condanna definitiva a tre anni) non poteva più rivestire incarichi pubblici e non aveva più un ruolo ufficiale nel partito. Tanto che fu Comi a raccogliere il testimone di coordinatrice provinciale.

Memoria storica

E qui, a fronte dell’evidenza, con la procura che ha rinunciato all’esame di Comi e con l’avvocato difensore Giampiero Biancolella che ha condotto un interrogatorio lineare, puntuale e ritmato, è stato il presidente Guidi ad andare al cuore del presunto sistema che oggi vede Comi a processo e che ipotizza l’ex plenipotenziario azzurro al vertice: «Mi scusi onorevole, ma se Caianiello non aveva più nessun ruolo nel partito, perché partecipava ai direttivi provinciali? Perché ci si preoccupava che avesse bisogno di denaro? Voglio dire, non è una cosa che si fa per chiunque». Comi ha replicato che i suoi direttivi erano volutamente aperti a tutti, anche a Caianiello che, entrato in Forza Italia sin dagli albori, rappresentava una sorta di memoria storica.

L’incarico alla madre

Sulle presunte truffe ai danni dell’Unione Europea, Comi ha ribattuto citando varia documentazione a sostegno delle proprie affermazioni. A partire dall‘incarico alla madre come primo assistente dal 2009 al 2010: «Sono tuttora la più giovane europarlamentare eletta. Avevo 26 anni: volevo al mio fianco una figura di cui fidarmi totalmente. Chi meglio di mia madre? Tuttavia chiesi al mio terzo erogatore se affidarle l’incarico fosse regolare». Il terzo erogatore è una figura terza, appunto, che “gestisce” i fondi concessi dall’Europa agli europarlamentari in loro vece. E’ anche una sorta di consulente. Comi scelse Gianfranco Bernieri, su consiglio di Gabriele Albertini. Lui disse che era tutto in regola. E lo disse anche l’Europa sino al 2014-2015, quando la scelta finì sotto la lente di ingrandimento. Comi restituì i 126mila euro incassati dalla madre e Bernieri, ritenuto responsabile dell’errore dalla sua assicurazione, risarcì lei per 94mila euro. Serviva un altro primo assistente: e Bernieri suggerì la propria moglie (anche lei a processo insieme al consorte) per l’incarico. Anche in questo caso rassicurò Comi. Che oggi ha scaricato ogni responsabilità asserendo che anche per i pagamenti di altre collaborazioni questi erano avvenuti dopo che i preposti enti europei avevano vagliato i giustificativi presentati avvallando i versamenti

Il filippino di Comi

E ancora gli incarichi agli amici di lunga data (marito e moglie lei, Monica Alessia avrebbe avuto un incarico per quattro anni poi abbandonato per la carriera universitaria) che l’avrebbero portata a pagare in contanti il successivo primo assistente Giovanni Enrico Saia, che si autodefinì in interrogatorio «il filippino della Comi, visto che ad un certo punto mi fecero un contratto per badante», in modo che questi potesse retrocedere agli stessi amici di lunga data la maggior parte del suo stipendio. E quando il compenso arrivava via bonifico finiva su una carta prepagata a nome Saia che però usavano sempre gli stessi amici per pagarsi elettrodomestici e vacanze innevate in Valle d’Aosta. Di questo Comi non avrebbe mai saputo nulla (firmava ricevute puntuali per le somme in contanti): «Mi hanno fregata. Per questa vicenda, che mi vede estranea, io ho perso 200mila euro, la mia vita e la mia carriera politica». E qui la domanda del presidente Guidi? «Ma lei adesso è tornata al Parlamento Europeo, oppure no?».

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