VISTO&RIVISTO Quando nel sequel il rischio di ripetersi è molto elevato

minchella borat visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

BORAT-SEGUITO DI FILM CINEMA, di Jason Woliner (Borat Subsequent Moviefilm: delivery of prodigious bribe to American Regime for make benefit once glorious nation of Kazakhstan, Stati Uniti-Regno Unito 2020, 96 min., Prime Video).

Proprio mentre la “seconda” ondata avanza riparalizzando quasi tutto il mondo, il dissacrante Borat torna in un’America completamente cambiata, dalla sua prima incursione del 2006, per incontrare la nuova amministrazione “Trumpiana”. Se nel 2006 Borat si muove in una terra che sta per eleggere il suo primo presidente “nero” della storia, qui si imbatte in una terra che da quattro anni vive sotto la presidenza del discusso e indefinito Donald Trump. Se nel 2006 la crisi dei derivati e il fallimento della Lehman Brothers dovevano ancora accadere, qui il “politicamente scorrettissimo” Sacha Baron Cohen si muove in una dimensione disillusa e fortemente depressa, incontrando una comunità che sente sulle sue spalle una crisi mondiale alla quale si aggiunge una devastante crisi sanitaria, che opprime ogni sogno americano e qualsiasi desiderio di riscatto.

Seppure Borat riesca in qualsiasi situazione a strappare un sorriso, la vicenda, che vede il giornalista Kazaco impegnato a portare in dono al vice presidente americano Pence la propria figlia Tutar, si incastra in un impianto narrativo un po’ appiattito. Passati quattordici anni dal primo mitico “Borat” e invasi quotidianamente da migliaia di filmati su “You Tube”, e altri canali, di “gags” e scherzi dissacranti, la magia del personaggio inventato da Cohen sembra aver perso gran parte della sua paradossale credibilità. Cohen, comunque, dà vita ad alcune sequenze surreali che, come un marchio di fabbrica, denotano uno stile assurdo e dissacrante per tutto il racconto.

Girato quasi tutto “in incognito”, “Borat 2”, rispetto il primo capitolo, punta molto sulla politica, cercando di raccontare la forte e pericolosa divisione tra conservatori e liberali, che sempre più scandisce la vita sociale e politica degli Stati Uniti. In un’America che si appresta a votare il suo nuovo presidente, Borat sottolinea e solletica divergenze che ormai hanno assunto toni pericolosi e, spesso, violenti. Cohen, per davvero, partecipa al congresso repubblicano vestito da membro del Ku Klux Klan; fa irruzione vestito da Trump, durante un comizio di Pence, cercando di “donarle” sua figlia; partecipa ad una manifestazione di estrema destra cantando una canzone dai toni estremamente razzisti, salvo poi essere scoperto e rischiare il linciaggio.

E’ di pochi giorni fa la notizia che Cohen ha voluto donare 100 mila dollari ad un’associazione cristiana che recupera le donne in difficoltà, per aver coinvolto, in un programma di riabilitazione gestito da un’ignara volontaria, sua figlia Tutar. Insomma Cohen, anche in questo caso, rischia tanto pur di realizzare sequenze, forti e paradossali, che possano poggiarsi sulla verità e sulla realtà.

Rimane, però, un racconto diluito, in certi punti, con una retorica cinematografica che poco ha a che fare con esperimenti di questo tipo. La poliedricità e la bravura di Cohen, comunque, riescono a mantenere abbastanza elevato il grado di divertimento. Guardando questo “Borat 2”, poi, veniamo catapultati in una realtà americana sempre molto distante dagli stereotipi che continuano ad essere diffusi da produzioni televisive e cinematografiche che invadono ogni canale di comunicazione. Grazie ad artisti come Cohen o come Moore possiamo conoscere aspetti importanti e dettagliati di una società apparentemente lineare, in realtà complessa ed enigmatica.

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RIVISTO

ALI G, di Mark Mylod (Ali G Indahouse, Regno Unito 2002, 88 min.).

Nel 2002 il mondo conobbe lo scatenato e dissacrante Sacha Baron Cohen. Già dal 2000 l’attore inglese aveva dato via al suo “Ali G Show” in cui interpretava tre finti giornalisti, Ali G, Borat e Bruno, che intervistavano persone ignare di trovarsi davanti ad un comico, spingendole, loro malgrado, in scene imbarazzanti ed estorcendo loro dichiarazioni equivoche. Grande successo in Inghilterra, lo show venne realizzato anche per la televisione statunitense.

Proprio su Ali G l’attore britannico decise di incentrare il suo primo lungometraggio. La retorica dei rapper americani, la periferia londinese e la rivalsa degli “ultimi” sono i temi centrali che rendono questo originale racconto un divertente, dissacrante e veritiero spaccato della moderna società post-industriale degli anni 2000.

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