VISTO&RIVISTO Il carcere, luogo di sofferenze e inclusione

minchella ariaferma visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

ARIAFERMA, di Leonardo Di Costanzo (Italia- Svizzera 2021, 117 min.).

Spirituale. Simbolico. Di una religiosità universale. Profondo e illuminante. Il bravo Di Costanzo realizza un interessante viaggio tra gli ultimi, tra i carcerati, tra quelli a cui la vita sembra aver tolto tutto. Di Costanzo, che è anche un bravo direttore della fotografia, confeziona una serie di sequenze in cui la luce viene azzerata per dare spazio alle anime contorte dei protagonisti. Qui la direzione della fotografia è affidata al bravo Luca Bigazzi perché la scenografia, con le sue luci soffuse e le sue ombre dirompenti, diventa una parte fondamentale dell’intera vicenda. Di Costanzo, che si conferma un autore autentico e poetico, ci accompagna in un percorso tortuoso e complesso in un luogo chiuso, abbandonato dall’umanità, in cui solo le anime possono trovare un compromesso per una vita dignitosa e umana.

Siamo in un luogo, probabilmente in Sardegna, ed in un tempo sospesi. Tutto sembra dilatato e la luce sembra comparire solo in brevi e sfuggenti attimi. La vicenda, dopo un inizio bucolico illuminato solo dalla luce di un primitivo falò, si svolge in un carcere che sta per essere chiuso definitivamente. Prima che accada, però, alcuni carcerati e alcune guardie dovranno rimanere fino a nuovo ordine. Le guardie, un po’ sorprese e contrariate, dovranno prendersi cura di un piccolo gruppo di detenuti, dodici come gli apostoli, fra i quali spicca un boss, interpretato da uno straordinario Silvio Orlando. Tra le guardie spicca un Toni Servillo che pare non abbia fatto altro nella vita se non l’ispettore della Polizia Penitenziaria. In questa situazione, in cui tutte le attività sono sospese, compreso il servizio mensa, la convivenza tra i due gruppi diventa subito difficile e incontrollabile. Solo la sensibilità e la saggezza di alcuni dei personaggi potrà rendere la vita nel carcere più civile e decorosa.

Di Costanzo realizza un’opera in cui i simboli religiosi, le candele, il buio, la luce, il pentimento, l’aiuto dei più deboli, la mancanza di giudizio, diventano simboli laici di una religiosità individuale necessaria per poter vivere vicende piene di sofferenza e di dolore. Un carcere non è altro che il luogo dove riponiamo ciò che consideriamo sbagliato e diverso. E spesso confondiamo la pena, necessaria e rieducativa, con la mancanza di umanità e di calore. In realtà i detenuti vanno accompagnati e seguiti in uno dei viaggi più difficili e disumani che uomo possa affrontare. In questo carcere ci sono detenuti di diverse regioni, stati, continenti. Tutti, però, fanno parte della stessa comunità.

L’inclusione, qui dentro, è una faccenda seria: più che all’esterno, le barriere tra le diversità vengono risucchiate da un senso di fraternità forte e sincero. Il carcere di Di Costanzo è il mondo contemporaneo che ci circonda. Un mondo asfissiato e compresso tra regole, divieti e obblighi. Solo il tratto umano distinto da empatia e senso religioso di altruismo può renderci la vita un’esperienza più dolce e leggera. Solo l’intelligenza che si fonde con l’umanità può scardinare i paletti, migliaia, che ogni giorno siamo costretti a dribblare.

Di Costanzo scrive una toccante e sommessa vicenda che riguarda tutti noi. Per tutta la durata della pellicola rimane inesplosa una tensione “intelligente” alimentata dagli stati d’animo dei protagonisti. La colonna sonora, disturbante e quasi aritmica, rende ancora più unico il viaggio dentro questo luogo indefinito.

Sembra, questo film di Di Costanzo, un affresco chiaro ed esplicativo di ciò che può essere un tentativo di compromesso tra uno Stato debole, assente, vulnerabile, ed una criminalità pronta a sovvertire i cardini della democratica e serena vita di un paese. Una amara ma sincera fotografia di un’ Italia che non ha mai chiuso i conti con un certo passato.

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RIVISTO

LA STOFFA DEI SOGNI, di Gianfranco Cabiddu (Italia- Francia 2016, 103 min.).

Il teatro e la vita vera, la finzione e la realtà, si fondono in un’opera onirica che ci racconta dell’enorme potere terapeutico che ha l’arte su tutte quelle persone che sono costrette a vivere un’esperienza difficile e sofferente.

Un magistrale Ennio Fantastichini ci accompagna in una delle più divertenti e surreali messe in scena di un’opera di Shakespare. Attori e criminali recitano in un originale e irripetibile corto circuito tra realtà e finzione.

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