VISTO&RIVISTO Una storia intima sul conflitto ancestrale tra generazioni

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di Andrea Minchella

VISTO

FALLING- STORIA DI UN PADRE, di Viggo Mortensen (Falling, Canada- Regno Unito, Danimarca 2020, 112 min.).

Viggo Mortensen decide a 62 anni di mettersi dietro la macchina da presa. Lo fa perché vuole cercare di ripercorrere la sua esistenza, il percorso di vita che lo ha portato ad essere quello che oggi è diventato. Seppur non autobiografico, “Falling” è il risultato di un’attenta e minuziosa ricostruzione, anche, della sua adolescenza e del suo rapporto conflittuale e difficile con suo padre.

Il progetto risale al giorno in cui morì sua madre, Viggo cominciò ad appuntare ricordi e sensazioni legati alla sua vita. Ma più scriveva di sua madre, più si ricordava di suo padre. Si accorse ben presto che il racconto sarebbe girato intorno alla figura di suo padre, ma anche della figura del padre e della sua simbologia all’interno della società americana. La costruzione del personaggio è stata accurata e complessa. L’autore poliedrico realizza una “scultura” profonda e tridimensionale e la inserisce in una storia iconografica e fortemente attualizzata. La bravura del regista, seppur nel film diverse sbavature stilistiche e grammaticali sporcano l’intero progetto, risiede nel fatto di stigmatizzare i personaggi e renderli universali.

Al di là della storia personale e del dramma che ne consegue, guardando “Falling” assistiamo ad un’attenta e genuina analisi di due figure maschili in conflitto e antitetiche. Mortensen ci regala il ritratto angusto e reale di due generazioni a confronto che cercano di dialogare ma che falliscono clamorosamente. L’incapacità comunicativa tra due generazioni, tra due visioni completamente diverse del mondo e della vita, diventa il filo conduttore ed il collante che tiene insieme le vicende che Mortensen mette in scena. Come ci racconta Massimo Recalcati nei sui numerosi saggi, anche in questa pellicola assistiamo alla presa di coscienza collettiva della fine della figura del padre autoritario ed autoreferenziale. Quella figura, che doveva esprimere mascolinità forte e assoluta, viene sostituita dalla figura di un padre nuovo, in ascolto, che diventa testimone per i suoi figli.

Viggo Mortensen, che qui interpreta John Peterson, figlio dell’omofobo e razzista anziano Willis, è a sua volta padre adottivo della piccola Monica alla quale cerca di dare un’educazione aperta, totalmente diversa da quella che ha ricevuto dal padre testardo e conservatore che oggi, anziano, non vuole ricevere nessun aiuto né consiglio. John, indipendente e omosessuale, diventa il simbolo di ciò che una certa America odia e cerca di combattere con tutte le sue forze. Nel racconto emerge, dunque, anche la contrapposizione violenta e sorda tra due visioni politiche e sociali. Il conservatorismo gridato e aggressivo del padre si incendia davanti al pacato e sicuro spirito liberale e democratico del figlio, che cerca in tutti i modi di emanciparsi dall’ancestrale e necessario riconoscimento del padre. Ma questa è un’operazione impossibile. Tutti i figli maschi cercano l’approvazione del padre. Ma quell’approvazione, che da parte della madre arriva limpida e facile, non arriva mai. E dunque la contrapposizione tra padre e figlio diventa il simbolo della contrapposizione tra due generazioni che nel cambio del testimone non riescono ad appianare le divergenze ma, anzi, accendono fiamme sempre più alte e pericolose.

Dunque “Falling” è un buon film e i limiti della sceneggiatura e del ritmo possono essere perdonati ad un autore che dell’arte ha fatto la cifra predominante della sua vita. Pittore, cantante, attore, poeta e, ora, anche regista, Viggo Mortensen mette tutta la sua anima e non si nasconde dietro stereotipi troppo convenzionali. Ottimo il cast a partire da “suo” padre Willis interpretato da un penetrante e commovente Lance Henriksen

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RIVISTO

NEBRASKA, di Alexander Payne (Stati Uniti 2013, 115 min.).

Il bravo Payne, dopo “Paradiso Amaro”, realizza forse il suo più intimo e reale viaggio nell’anima di un uomo. Payne ci porta in un freddo e buio tragitto dentro uno dei tanti Stati “periferici” degli Stati Uniti. Dal Montana al Nebraska. Questo è il percorso che Woody Grant, uno straordinario Bruce Dern, vuole compiere a piedi per riscuotere una vincita che, in realtà, non ha vinto.

A fianco dell’anziano e alcolizzato Woody troviamo suo figlio, David, che gli offre un passaggio facendogli credere che la vincita sia reale. Quel viaggio farà riemergere le distanze tra i due ma darà la possibilità ad entrambi di avere una nuova ed inaspettata chiave di lettura della loro vita.

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