I libri di Daria Bignardi riempiono i Molini Marzoli: «L’autore deve essere spudorato»

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BUSTO ARSIZIO – «Fare lo scrittore è un mestiere solitario. E l’autore deve essere spudorato». Alla presentazione di ieri, martedì 17 maggio, ai Molini Marzoli dell’ultima fatica “Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici” Daria Bignardi ha raccontato a un’affollata Sala Tramogge il suo rapporto con la scrittura partendo dal primo “romanzo” scritto a sette anni e “Il demone meschino” di Fëdor Sologub – «libro con cui ho un conto aperto» – letto a tredici per giungere alla sua produzione letteraria; l’appuntamento organizzato in collaborazione con Ubik per BA Book, a cui era presente la vicesindaco Manuela Maffioli, è stato moderato da Stefano Sgambati, nel team dell’“Ora Daria” su Radio Capital.

«Lo scrittore non ha famiglia, non ha figli, non ha moglie»

«Con Stefano ci siamo conosciuti a Ventotene sette anni fa, al festival letterario “Gita al faro”», ha raccontato l’ex conduttrice de “Le invasioni barbariche” che ha diviso in tre fasi – ispirazione, creazione e condivisione – la genesi di un libro. «Per l’occasione fu chiesto agli ospiti di scrivere un racconto. Confrontandoci emerse che i problemi erano più o meno gli stessi, dal non saper come iniziare ai grandi dubbi. Ma in quel caso fu più un lavoro di gruppo, mentre lo scrittore deve risolvere da solo tutti i problemi della scrittura. Per “Libri che mi hanno rovinato la vita”, autobiografico e a schema molto libero, ho dovuto esercitare la più grande delle spudoratezze. La spudoratezza è totalmente necessaria: lo scrittore non ha famiglia, non ha figli, non ha moglie. L’unico a cui deve rendere conto è il lettore. Non fidatevi di loro e non confidate loro segreti perché, come ha dimostrato Carrère con le sue donne, saranno rivelati».

“Illusioni perdute” e il senso di colpa

La spudoratezza è necessaria anche per trovare il coraggio di mettersi in gioco: «Prima di dedicarmi ai romanzi per tanti anni ho fatto la giornalista, l’autrice di programmi televisivi, la conduttrice e ho anche lavorato in radio. Ci ho messo così tanto perché pensavo di non potermelo permettere. Poi, quando stavo creando il primo, dalle frasi ricorrenti mi sono resa conto che era come se lo stessi scrivendo da trent’anni».
Ma c’è stato un precedente, le otto pagine di “Illusioni perdute”, che risale a quando di anni ne aveva sette: «A Londra Roberto, il protagonista, si recava al bar “Roma” dove la fidanzata l’avrebbe abbandonata. All’epoca mia sorella, più grande di undici anni, era stata lasciata dal fidanzato e mia madre, ansiosissima, era disperata. Lo raccontai alla maestra che lo disse a mia madre che, maestra anche lei, mi rimproverò per averne parlato. Ero desolata: “Illusioni perdute” nasce da questo senso di colpa per mia sorella, che associo alla sofferenza per amore».

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«I libri sono come le persone che incontri»

«Bisognerebbe leggere solo libri che pungono o mordono – ha sottolineato Sgambati citando le lettere che Kafka scrisse a Oskar Pollak – un’ascia per rompere il mare di ghiaccio dentro di noi». Per Bignardi «i libri sono come le persone che incontri. Tutti abbiamo fatto incontri che ci definiscono, spesso quelli che non dimentichiamo proprio sono gli stessi che ci hanno fatto soffrire». Film come “Senza tetto né legge” e “Into the wild” hanno offerto lo spunto per una riflessione: «In passato per lungo tempo ho avuto un’attrazione per quello che ci faceva soffrire: era come se riconoscessi l’autenticità della vita solo nel dramma. Ma la felicità si può anche scegliere: nelle parole di Tolstoj, “chi è felice ha ragione”. E Virginia Woolf viene identificata soprattutto con la sua fine, una passeggiata nel fiume con i sassi in tasca. Ma in realtà era una persona allegra, effervescente, solo che era troppo sensibile».

Il successo dell’incontro di BA Book

I Molini Marzoli hanno ospitato un folto pubblico per l’incontro di BA Book, «una rassegna che per qualche anno si è interrotta, e di cui ora si tiene la seconda edizione», ha sottolineato la vicesindaco Maffioli. «Era necessario riproporla, alla luce del “sistema libro” che abbiamo – otto librerie, otto case editrici, due associazioni e due biblioteche – e della quantità di lettori in città, confermata dal numero di presenze che stiamo registrando al festival». L’obiettivo è portare il libro più vicino a tutti: «Una frequentazione consigliabile e senza effetti collaterali, se non quelli positivi. Busto è una città che legge, come ha riconosciuto il ministero con il “Patto per la lettura” che abbiamo sottoscritto». E il progetto “Reading Busto”, per cui sono stati stanziati 63mila euro da Fondazione Cariplo, punta a creare nuovi amanti dei libri: «Uno strumento di elevazione individuale. Ma anche di promozione del territorio: per una migliore immagine della città vista dall’esterno, abbattendo i pregiudizi nati dall’avere 84mila abitanti ma non essere capoluogo di provincia».

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