VARESE – Era sicura la funivia di Monteviasco, dove il 12 novembre 2018 il corpo di Silvano Dellea, caposervizio dell’impianto, situato nel Luinese, fu ritrovato privo di vita fuori dalla stazione a valle.
Lo ha affermato in tribunale a Varese l’ingegnere che per conto del Comune di Curiglia, proprietario dell’impianto a fune, si era occupato della revisione generale di quella struttura, una delle tante prese in carico durante la sua lunga carriera.
Il processo per omicidio colposo
Il professionista ascoltato oggi, sabato 16 settembre, è l’ultimo nella lista dei nove imputati che devono rispondere di omicidio colposo per quei tragici fatti. E le sue dichiarazioni spontanee, rese in aula davanti al giudice, sono perfettamente sovrapponibili a quelle degli altri tecnici già sentiti a dibattimento.
Le manutenzioni
Dellea, è la tesi dell’imputato, non avrebbe dovuto ispezionare la linea viaggiando sulla cabina da solo, e per di più imbragato all’esterno della vettura, che si muoveva a ritmo sostenuto. La funivia, ha aggiunto l’ingegnere, era dotata delle attrezzature per effettuare in sicurezza le manutenzioni, in particolare quelle complesse, che però, stando al regolamento, non spettavano al capo servizio.
Il terrazzino
L’impianto a fune era inoltre fornito di un terrazzino mobile, una sorta di parapetto da applicare alla cabina per svolgere gli accertamenti tecnici, la cui assenza – secondo le accuse – avrebbe influito sulla sicurezza della linea. «Il terrazzino? È stato utilizzato più volte nel corso degli anni – ha sottolineato l’ingegnere in udienza – Io stesso l’ho usato per controllare le funi».
«Dellea era solo»
La stazione avrebbe dovuto essere presidiata dal personale quel drammatico giorno di novembre di cinque anni fa: questa la conclusione dell’ingegnere. Dellea invece era solo, e le ragioni di quel controllo svolto senza assistenza e con metodi giudicati pericolosi dagli addetti ai lavori, restano ad oggi sconosciute.