Morto Gigi Riva, mitico goleador: era nato a Leggiuno. Il ricordo di Massimo Lodi

CAGLIARI – Avrebbe dovuto subire un intervento al cuore dopo avere avuto un malore, ieri. Ma Gigi Riva, il grande campione del Cagliari e della Nazionale azzurra, originario di Leggiuno, non ce l’ha fatta: è morto questa sera all’ospedale Brotzu di Cagliari, dove era ricoverato. Aveva 79 anni.

Il malore risale alla giornata di ieri, domenica 21 gennaio, poi la corsa al Pronto soccorso di via Peretti con i medici che hanno disposto la degenza nel reparto di Cardiologia.

Tra familiari e amici stretti di Rombo di Tuono era trapelato un certo ottimismo, tanto che si parlava di un intervento di routine per superare il problema. Intanto sui social i tifosi preoccupati dimostravano tutto il loro affetto con un “Forza Gigi” postato sulle loro bacheche.

Gigi Riva resta il capocannoniere della Nazionale con 35 reti e numero 11 dello scudetto del Cagliari del 1970. Era il presidente onorario della squadra sarda, dove ha chiuso la sua prestigiosa e inimitabile carriera, dopo aver cominciato a giocare a calcio a Leggiuno, il suo paese natale al quale era sempre rimasto legato. 

Ciao Gigi, ci hai colorato la vita

di Massimo Lodi

Era un tipo a questa maniera. Sentite: un giorno sta a Varese, in ritiro con la nazionale di Sacchi e Carmignani. Hotel Palace, primo pomeriggio, giornata di caliginose brume. Siede sul trespolo al bancone del bar, si scalda sorseggiando whisky. “Gede” accetta di mediare per una chiacchierata giornalistica: macché, l’intervistando sorride da lontano e declina. Sorride? Bah: sorride stretto. Burbero e arcigno. Secondo costume. Però ci tiene a comunicare al cronista che trattasi d’una sua regola, non dell’eccezione. Ovvero: non faccio così perché ti considero uno zero. Sono fatto a ‘sto modo, abbi pazienza.

Non una novità. Marcia indietro nel tempo: fine di luglio del ’70, epoca post mondiale messicano, casa di Riva a Leggiuno. Il fotografo Mario Broggini della Prealpina ha preparato un ingrandimento a misura d’uomo, incollandolo sul cartone. Rappresenta il bomber in maglia rossoblù-Cagliari a Masnago, domenica dello strangugliante 6-1 (tre gol suoi, nella porta verso il Sacro Monte) al Varese di Arcari: evento d’un anno e mezzo prima, autunno ’68. Gliela vuole consegnare, appassionato omaggio al genio calcistico. Suona il campanello. A lungo. Dopo un bel po’, si apre la persiana. Alla finestra un’ombra che grugnisce: lasciatemi dormire. Beh, è mezzogiorno. Seguono spiegazioni vivaci. Infine, l’uomo allora più amato d’Italia scende, apre la porta, riceve il dono, ringrazia. Chiude con un abbraccio ruvido, una pacca generosa, la palpebra strizzata: dài, vi voglio bene.

leggiuno riva morto

Figuriamoci noi. Caro Luìs. Carissimo Gigi (Gigirriva per gl’isolani). Che notte ci regalasti all’Azteca, 4-3 alla Germania, il terzo gol tuo, poi le braccia su, sfinito, senza fiato, felice. E quante altre emozioni, e reti formidabili, e virtuali ole di popolo. Sei stato il più grande di tutti, per un pezzo. 156 gol in 289 partite di serie A, memorabile quello dell’ottobre ’70 a San Siro contro l’Inter, una saetta da centotrenta all’ora che fece scrivere alla maestosa penna di Giuàn Brera fu Carlo: ecce Rombo di tuono. E poi, inchinissimo, 35 gol in 42 prestazioni azzurre, col marchio tuo e di Pietruzzo Anastasi sulla doppietta che a Roma ’68 liquidò la Jugoslavia e ci rese campioni d’Europa.

Chissà se Skoglund e Nyers, potendo essere tra di noi, si pentirebbero di non avere risposto alle lettere che gli scrivevi da bambino, chiedendo un semplice autografo. Se Moratti padre licenzierebbe ex post il diesse imbranato che non seppe portarti a Milano, nella squadra del cuore. Se Zeffirelli non si stancherebbe di rimproverarti il rifiuto a recitare nel film su San Francesco: non capì il no a un cachet di quattrocento milioni. Ma tu avevi già capito l’essenziale della vita: dire di sì solo al proprio istinto, e poi vada come vada. Ti è andata sportivamente benissimo, e te ne siamo riconoscenti perché è andata bene anche a noi, d’una generazione non troppo distante dalla tua: ci hai colorato d’entusiasmo l’esistenza ragazzina. Ed è molto, credici. Moltissimo. Ciao Gigi: di più non vorresti, nell’ultimo saluto.

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