Quinto, non uccidere

tribunale varese

di Adet Toni Novik*

Mariti che uccidono le mogli, mogli che uccidono i mariti, padri e madri che uccidono i figli, figli che uccidono i genitori. Fidanzati che uccidono la compagna. Le ho viste tutte e, ogni volta, la domanda che mi sono posto è stata: si poteva evitare? E la risposta che mi sono dato è che no, non si può evitare. Di fronte alla ferma volontà di uccidere “costi quel che costa”, non c’è difesa che tenga. Me ne sono reso conto quando sono stato sotto scorta o mi è stata assegnata l’auto blindata. Non c’è tutela che tenga e così, quando una conoscente mi ha chiesto un consiglio perché perseguitata da un vicino di appartamento, l’ho invitata a cambiare casa. Seguì il mio consiglio e fece bene, come eventi successivi dimostrarono.

Per rimanere ai casi locali che mi hanno direttamente coinvolto, ricordo quando nel 1996 G., separato dalla moglie, per punirla uccise il figlio D. prendendolo mentre dormiva e lasciandolo cadere dalla finestra; e B. che nel 1997 di notte prese l’accetta che il marito teneva sotto il materasso, con la quale minacciava di ucciderla, e lo anticipò; e S. che nel 1999 colpì a morte con 8 coltellate la donna che lo aveva lasciato; e D.M. che nel 1997 attese che la moglie uscisse dall’ufficio postale e la colpì con l’accetta; e B. che nel 1998 versò benzina sul capo della compagna e la bruciò; e G. che nel 2004 uccise i due figli che erano andati a trovarlo per le vacanze pasquali.

Questa premessa per dire che la violenza fa parte della natura umana ed è immanente, pronta a uscir fuori quando vengono meno i freni inibitori indotti dal costume sociale.

Ho seguito sulle cronache il caso Paitoni e mi ha colpito il modo tranchant con cui è stato affrontato dalla stampa e nelle valutazioni correnti, come a stigmatizzare, colpevolizzandolo, il comportamento del Gip che ha concesso l’autorizzazione al padre, agli arresti domiciliari nella casa paterna per altra causa, di avere saltuariamente con sé il figlio di 7 anni avuto dalla moglie da cui si stava separando.

Conosco i fatti solo in base alle letture e ai virgolettati contenuti negli articoli di stampa, che hanno riportato stralci delle ordinanze emesse per il tentato omicidio del collega di lavoro e l’omicidio del figlio, nonché dalle dichiarazioni ufficiali dei vertici giudiziari, a volte distoniche.

Badando agli elementi essenziali ho ricostruito che:

novik varese morazzone
Adet Toni Novik

– il tentato omicidio del collega di lavoro è avvenuto nel corso di una colluttazione per la quale è normalmente difficile capire chi è l’aggressore e chi l’aggredito: motivo per cui, a fronte delle difese dell’arrestato Paitoni – presunto non colpevole -, il Gip ha ritenuto necessario un approfondimento della dinamica della lite e ha applicato la misura cautelare richiesta dal pubblico ministero, evidenziando un possibile pericolo di inquinamento delle prove;

– la stessa richiesta di arresti domiciliari  del pubblico ministero, misura la cui osservanza riposa sul senso di autocontrollo del sottoposto, denota come la pericolosità sociale dell’indagato, pur immanente in ogni reato di sangue, non fosse eccessivamente stringente, altrimenti la richiesta sarebbe dovuta essere più incisiva (per legge il Gip può applicare una misura meno gravosa di quella richiesta dall’accusa, ma non può applicare una più grave);

– la necessità di evitare interferenze sulle indagini da parte dell’arrestato ha consigliato al Gip di imporre una ulteriore cautela, ovvero  quella di non avere contatti con persone diverse da quelle con cui coabita: il divieto non è assoluto, ma quando il contatto non interferisce sulle indagini può essere rimosso dal Gip secondo una procedura semplificata (il parere del pubblico ministero è richiesto solo nei casi di revoca o modifica del provvedimento restrittivo);

– nel caso in esame, secondo quanto dichiarato dalla moglie al Corriere della sera, non vi erano ragioni ostative a concedere al padre di vedere il figlio: «In seguito all’autorizzazione del giudice che concedeva a Davide di poter tenere con sé nostro figlio, i nostri rispettivi avvocati di volta in volta si accordavano circa gli orari in cui il padre poteva tenerlo con sé. Personalmente ho tentato di limitare queste visite perché ritenevo che l’abitazione dov’era ai domiciliari non fosse idonea ad ospitare un bambino per molto tempo, anche perché non poteva uscire e doveva rimanere per lunghi periodi in quello spazio angusto. Tuttavia durante le festività di fine anno ho dovuto sottostare alle decisioni prese dai legali»;

– quindi, se né la madre né i rispettivi legali temevano per la incolumità del figlio, se non vi era nessun segnale -spia in tal senso, come poteva il Gip rappresentarsi questo pericolo?

quanto alle violenze in famiglia che avrebbero dovuto mettere in allarme il Gip e consigliargli di vietare le visite, è lo stesso procuratore di Varese ad affermare che “Le denunce risalgono ai mesi di marzo e aprile scorso e si inquadrano nel contesto del conflitto familiare scaturito dalla decisione della moglie di separarsi. Non sono pervenute segnalazioni di ulteriori ed analoghi episodi con riguardo a nessuno dei familiari dell’indagato. Non risulta, per la parte di competenza di questa Procura, l’instaurazione di un giudizio civile per la separazione tra i coniugi. Non sono pendenti, presso questa Procura, neppure procedimenti per maltrattamenti in famiglia o atti persecutori”: quindi, oltre ad essere datate le denunce per lesioni e minacce non avevano mai riguardato il bambino;

– infine, e ritorno alle premesse iniziali, se consideriamo l’aggressione successiva compiuta da Paitoni a danno della moglie con la ferma volontà di punirla, mi pare che, a prescindere dal permesso del Gip, niente gli avrebbe impedito di realizzare il suo intento, rimuginato ed esacerbato nella solitudine degli arresti domiciliari, lasciando in qualsiasi momento il domicilio e compiere la sua vendetta direttamente a casa della donna (come in parte poi ha fatto).

Il giudice svolge una funzione essenziale per la tenuta sociale ed il suo agire entra con violenza nella vita delle persone. Per questo è necessario contemperare le esigenze delle indagini con il rispetto dovuto alla persona. Nel caso in esame, niente impediva il rilascio di una autorizzazione a Paitoni ad avere con sé saltuariamente il figlio, e ove il Gip di Varese l’avesse negata – e non fosse successo quello che malauguratamente è avvenuto – avrebbe potuto essere tacciato di comportamento inutilmente vessatorio. Purtroppo, nessuno ha la sfera di cristallo e l’imprevedibilità è sempre presente.

*già magistrato della Corte di Cassazione

novik varese morazzone – MALPENSA24