Reddito di cittadinanza, Caianiello indagato per truffa. “Sono in buona fede”

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GALLARATE – Nino Caianiello indagato per truffa ai danni dello Stato. La procura di Busto Arsizio lo accusa di aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. Il fatto che l’ex Mullah, arrestato nel maggio 2019 perché coinvolto nella maxi inchiesta Mensa dei poveri che lo ha alla fine visto patteggiare una pena a 4 anni e 10 mesi e tornare in carcere sabato scorso per scontare i 2 mesi e mezzo residui dopo la custodia cautelare, avesse avuto accesso al sussidio aveva sollevato non poche polemiche quando, un anno fa circa, il dettaglio era emerso a margine dell’inchiesta giudiziaria che lo aveva coinvolto.

La prima condanna per concussione

L’autorità giudiziaria, verificata la situazione, lo ha quindi iscritto nel registro degli indagati. Si tratta, però, di una posizione, quella dell’ex Ras di Forza Italia in provincia di Varese, borderliner. In sintesi. La legge vieta l’accesso al reddito di cittadinanza a chi è stato condannato in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. E Caianiello era stato condannato in terzo grado a 3 anni per l’affaire ex Maino riconoscendolo colpevole di concussione.

La modulistica fallata

Nelle due paginette di modulistica la cui compilazione è necessaria per richiedere il sussidio targato M5S, però, questa voce non compare. Praticamente tra le varie opzioni che il “candidato” al reddito di cittadinanza deve barrare dichiarando, ad esempio, di essere disoccupato o di non avere beni o entrate sufficienti a garantire la sussistenza, quella relativa a un’eventuale condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione non compare. La modulistica non contiene una voce indicata invece dalla norma, fatto abbastanza surreale. Caianiello avrebbe dovuto “censurarsi” da solo e sapendo di essere stato condannato in terzo grado per concussione semplicemente non avrebbe dovuto fare richiesta del sussidio.

Siamo in buona fede

“La verità è che quella di richiedere il reddito di cittadinanza non è stata idea del mio assistito. Non ci aveva pensato, gli è stata suggerita da terzi – spiega l’avvocato Tiberio Massironi, difensore dell’ex plenipotenziario di Forza Italia in provincia di Varese – E non è stato nemmeno lui a compilare la domanda. Si è infatti rivolto ad un’associazione, una sorta di Caf, che ha incardinato tutta la pratica. Confermo, tra l’altro, il vuoto sul punto nella modulistica istituzionale. Siamo in assoluta buona fede e sono certo sapremo provarlo”.

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