Sindaci e consigli comunali, la collaborazione farlocca

A coloro che hanno avuto modo e voglia di seguire l’esordio dei consigli comunali di Varese, Busto Arsizio e Gallarate non sarà sfuggita la richiesta delle opposizioni di poter esprimere il presidente dell’assemblea. Una figura, diciamo così, neutra, per definizione e per ruolo super partes, di garanzia, che può benissimo essere affidata a un esponente delle minoranze. Richieste sostenute o indotte dalle dichiarazioni di principio dei sindaci, Galimberti (Pd) a Varese, Antonelli (Fdi) a Busto Arsizio, Cassani (Lega) a Gallarate, i quali si sono appellati alla collaborazione di tutti i partiti, formulando la promessa di un atteggiamento di apertura e di trasparenza nei confronti delle stesse opposizioni.

Gran bei discorsi, purtroppo poco sinceri. Infatti, i presidenti delle tre assemblee sono tutti espressione delle diverse maggioranze, di centrosinistra nel capoluogo, di centrodestra nelle altre due città. La saga dell’ipocrisia politica in senso trasversale, se proprio dobbiamo puntualizzare: collaborazione, trasparenza, dialogo sono cifre retoriche, addirittura farlocche, buone per indorare la pillola e apparire disponibili nei confronti degli avversari che hanno perso le elezioni. Più o meno una turlupinatura, che pare essere una consuetudine della politica politicante. O, come ama affermare un noto rappresentante istituzionale bustocco, un’abitudine del “teatrino della politica”. Quello che fa allontanare i cittadini dalle urne.

C’è da domandarsi se non sia più onesto intellettualmente dire come stanno le cose: i posti sono a disposizione di chi ha vinto le elezioni. Come ha ricordato una esponente della Lega di Gallarate al centrosinistra locale che, appunto, domandava apertura sulla nomina del presidente del Consiglio: “A casa nostra facciamo come ci pare”. Bella lì. Senza circonvoluzioni sintattiche, né balle di circostanza. Non è il massimo del fair play, ma se non altro è una modalità sincera. Che non prevede nulla di buono nei rapporti futuri tra i partiti, però dice come stanno le cose: chi vince occupa tutti i posti che può occupare. Per una questione di opportunità (ne ha comunque diritto) e per una necessità tecnica, di accontentare coloro che hanno contribuito al successo elettorale. Gli altri si adeguino. Fino al punto da essere considerati collaborativi con le singole giunte soltanto se evitano di eccepire sulle scelte di sindaci e assessori. Per dirla in un altro modo, se si mettono proni e silenti davanti a chi comanda. Il resto, tutto il resto, è pura retorica. E forse qualcosa di peggio che lasciamo immaginare a chi ci legge.

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