Rapine alle stazioni di servizio in Svizzera: «Così agivano i malviventi». Bottino da 120mila euro

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VARESE – La ricerca meticolosa dei dettagli e la capacità di metterli in fila per unire tutte le tessere del puzzle. Sono gli elementi che hanno fatto la differenza nelle complesse indagini condotte dalla squadra mobile della Questura di Varese, insieme alla polizia locale del Monte Orsa, per dare un nome ai due rapinatori che tra il 2017 e il 2018 avevano preso di mira due stazioni di servizio con ufficio di cambio a Brusino Arsizio, paese del Canton Ticino situato al confine con la Valceresio, per un totale di tre colpi dal bottino complessivo di 120mila euro.

Il processo

Indagini che sono tornate in primo piano nel processo in corso in tribunale a Varese in cui è imputato l’uomo classe 1984 che per la Procura è uno dei due responsabili di quelle rapine. Il presunto complice è già stato condannato con giudizio abbreviato. A parlare, davanti al collegio, uno dei protagonisti di quella attività d’indagine, partita con una segnalazione proveniente dalle autorità svizzere e riguardante lo spostamento in scooter verso il confine italiano di due rapinatori, in fuga con 60mila euro e probabilmente armati.

Coincidenze

Il colpo risale all’aprile del 2017 e quel modello di scooter è per gli investigatori il primo dettaglio da non sottovalutare. Vengono passati in rassegna i dati di tutti i mezzi di quel tipo immatricolati nelle province di Varese e Como. Sono poco più di 600. Nell’elenco c’è lo scooter prestato dal proprietario ad uno dei due malviventi. Uno scooter associato da chi indaga a quello della rapina, anche grazie ad un particolare emerso da Facebook: un casco immortalato in una foto e identico ad uno dei due usati per il colpo.

Le telecamere

Caschi in testa, coltello e pistola in pugno. Così agivano i rapinatori. Ad uno dei due durante la terza e ultima rapina, dell’aprile 2018, si era mosso il passamontagna sotto l’occhio delle telecamere della stazione di benzina. E il frame del volto è così diventato un prezioso elemento per arrivare agli arresti.

L’uomo ora a processo quel giorno indossava una giacca chiusa in modo tale da coprire i tatuaggi sul collo, e degli occhiali da sole per non mostrare la lacrima tatuata vicino a un occhio. Ma il passamontagna lo ha messo nei guai. Ancora dettagli che non sfuggono a chi indaga. Dettagli che includono un altro frame, questa volta estrapolato da una telecamera in centro a Porto Ceresio: mostra, in un orario rilevante per le indagini, un uomo che è al volante di un’auto e indossa guanti rossi uguali a quelli usati da uno dei rapinatori.

La macchina rubata e i cellulari

Gli spostamenti in auto dei malviventi riguardano solo una delle tre rapine, ma sono stati ugualmente decisivi per la ricostruzione del modo di agire. Il mezzo, si è appreso in udienza, era stato rubato a Milano ed era entrato in Svizzera con delle targhe a loro volta provenienti da un furto, compiuto prelevando le targhe di una macchina trovata in un parcheggio a Bisuschio, con la quale la proprietaria era poi ripartita senza accorgersi che sul suo veicolo c’erano le targhe dell’auto rubata a Milano dai rapinatori, traditi infine dall’uso dei cellulari: dopo le rapine agganciavano le stesse celle telefoniche nello spostamento tra la Valceresio e Olgiate Olona, luogo di residenza di uno dei due.

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