“Arcipelago N.”, pienone al TuMiTurbi per la traversata con Lingiardi e i Bound

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Da sinistra: Vittorio Lingiardi, Michele Rugo, Erika Minazzi e Stefano Bruno

VARESE – «Il mio libro si chiama “Arcipelago N.” perché è come una navigazione tra tutte queste isole, in cui ciascuna ha una propria fisionomia ma nel contempo sono immerse nell’acqua dello stesso mare, che è il narcisismo». Sulle note intrecciate dai Bound ieri, venerdì 18 novembre, lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, intervistato da Erika Minazzi, psicoterapeuta e presidente del centro Jonas Varese ha condotto un pubblico da tutto esaurito ai Magazzini TuMiTurbi nella traversata fornendo, alla luce della sua ultima fatica, alcune coordinate.

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Pelle spessa e pelle sottile

«Siamo tutti narcisisti, ma ognuno a modo suo», ha così esordito il docente della Sapienza di Roma. «Ciò non costituisce un problema se ci si muove lungo la linea continua di un narcisismo sano, di fiducia in sè stessi ma in cui si è ancora capaci di gioire del successo altrui e provare gratitudine. La situazione si complica quando questa posizione di equilibrio viene abbandonata per le due strade individuate da Herbert Rosenfeld: una, lo stereotipo più facilmente riconoscibile, è il cosiddetto narcisista dalla pelle spessa – “thick skin” – che, arrogante e spesso aggressivo, cerca il pubblico che lo applauda. Ma ci può essere anche un’altra forma di narcisista, quello “thin skin” che ha un problema nella valutazione del proprio valore, si valuta troppo poco. Tra insicurezza e timidezza coltiva in segreto un sentimento di grandiosità, e invidia.

La giusta altezza di volo

«Non bisogna dimenticare – è stato il monito – quanto anche l’ambiente, e in particolare quello familiare, possa influenzare la formazione di un carattere»: a questo riguardo, Lingiardi ha richiamato il mito di Dedalo e Icaro come chiaro esempio di quale sia il vero messaggio formativo che un genitore deve dare.
«Nel calare sulle spalle del figlio le ali che ha costruito l’architetto del labirinto gli raccomanda non solo di non volare troppo vicino al sole, perché il suo calore potrebbe scioglierle, ma anche di non scendere troppo vicino al mare perché umidità e salsedine potrebbero appesantirle pericolosamente. Ognuno deve trovare la propria altezza di volo, senza essere imprigionato in aspettative troppo elevate ma nello stesso tempo senza morire in svalutazioni».

La relazione descritta da “La bambola” di Patty Pravo

Al «continente di bravura» Bound il compito di tradurre in musica i vari casi affrontati, partendo da “The final cut” cantato da Mosè Nodari, unicum nella poetica dei Pink Floyd che tra dolcezza e spietatezza ritrae la resa totale di un essere umano che sta perdendo la propria abitudine ad autoriferirsi. Fino a “Bohemian like you” dei Dandy Warhols, “Che succede in città” di Vasco e “Hurt” dei Nine Inch Nails. Come ha sottolineato Lingiardi, «“La bambola” di Patty Pravo, un rifiuto essere vista come un puro oggetto di godimento, è un brano emblematico di una relazione patologica. Invece di dirsi “ma in fondo mi ama” bisogna farsi queste domande: “Si cura di me? Mi rende migliore? Ha interesse per ciò che penso? Nell’ambito di un conflitto sa riconoscere il mio contributo?”. Un segnale di mancanza di empatia è “abbiamo fatto una lunga chiacchierata in cui mi ha raccontato un sacco di cose sue, ma non mi ha chiesto: ‘Come stai?’”.

I social e l’illusione che il tempo non passi

«Non penso che le cose siano buone o cattive: un martello può essere usato per battere un chiodo o può essere dato in testa», ha risposto poi Lingiardi riguardo ai social, e alle potenzialità di Internet di ipertrofizzare il narcisismo. «Desiderare di essere visti, ammirati, non è in sé un male. Lo diventa quando, in seguito alla moltiplicazione e ingigantimento di tanti piccoli sé, diventa un bisogno da soddisfare a qualsiasi costo. Siamo in un epoca in cui viene richiesto di avere successo, essere ricchi, belli, giovani, insomma, il tempo non deve passare. Ma nel mito Narciso dà origine all’omonimo fiore con le sue lacrime, quando muore perché si rende contro di non poter essere amato eternamente dalla sua immagine riflessa nell’acqua. E il suo nome porta la radice “nark-”, legata all’idea del sonno, un dormire nell’illusione che il tempo non passi. Ma il Covid ha dato un colpo d’arresto a tutto questo, mostrando che non siamo invulnerabili. E che magari ci si può anche occupare un po’ degli altri».


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