Ucraina, il dovere della solidarietà anche in provincia

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Il rischio di scrivere banalità di fronte alla provincia di Varese che si mobilita per accogliere i profughi ucraini è palese, quasi scontato. E’ però doveroso sottolineare la gara di solidarietà di numerosi centri del Varesotto, non soltanto quelli più importanti, per trovare un alloggio alle persone, in primo luogo ai bambini, in fuga dalla guerra. Un impegno che trascende le appartenenze, chiama in causa tutte le amministrazioni civiche al di là dei loro referenti politici, come è giusto che sia davanti a una tragedia che colpisce un popolo intero e coinvolge l’Europa, cioè tutti noi.

Sullo sfondo c’è la spinta emozionale di quanto sta accadendo a Est, c’è la preoccupazione, anzi, la paura per uno sbocco nucleare del conflitto aperto dalla Russia di Putin, c’è la consapevolezza che nella nostra epoca non sia più tollerabile, nemmeno pensabile, l’uso dei carri armati e delle bombe per far valere pretesi quanto presunti diritti egemonici. Lo “zar” del Cremlino ha riportato indietro le lancette della storia. Le sue visioni geopolitiche stanno squassando il mondo. Così che, persino la Svizzera ha messo da parte la sua storica neutralità e organizza sanzioni economiche contro gli invasori dell’Ucraina.

 In altri termini: nessuno può o vuole rimanere indifferente, né tirarsi indietro rispetto a una situazione inaccettabile per i presupposti che dovrebbero o potrebbero giustificarla e per il dolore che sta provocando. Se gli Stati fanno la loro parte, ciascuno di noi deve fare la propria. Non a caso la gente va in piazza per reclamare la pace, protesta, afferma, si schiera. Non a caso le istituzioni agiscono concretamente per ospitare i profughi, in questo caso profughi “veri”, vittime della follia delle armi. L’auspicio è che nessun politico provi a reclamare consensi da un’azione di accoglienza che va al di là delle meschinità della politica, ma riguarda soltanto una questione umanitaria. Per questo ci è parsa fuori luogo la presa di posizione di chi ha motivato la sua assenza alla manifestazione contro la guerra, svoltasi domenica 27 a Busto Arsizio, con il fatto che gli organizzatori di sinistra, alcuni giorni prima, avevano eccepito sull’intitolazione di un parco a una vittima delle Foibe. Testuale: “Chi la fa l’aspetti”.

 Sono comportamenti che vanificano i contenuti, la sostanza di prese di posizione alte, per fermare le bombe e invocare la pace. Che è un valore assoluto, che non può essere confuso con vicende di basso profilo; un valore lontano anni luce dalle schermaglie della politica politicante, inopportune e deleterie rispetto al dramma innescato in Ucraina. Poi, per fortuna, ci sono sindaci, giunte, consigli comunali, associazioni e finanche partiti che sanno andare oltre, lasciando da parte le polemiche e si rimboccano le maniche non solo per spirito di solidarietà, ma sapendo che se i carri armati non arriveranno fin qui, il loro sferragliare si sente distintamente e rimbomba in modo inesorabile nelle coscienze delle collettività. Compresa quella della nostra provincia.

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