Uil Trasporti: in vent’anni sparite quasi tutte le compagnie aeree italiane

ALI SPEZZATE | C’era una volta l’Italia che volava. Intervista con Ivan Viglietti, segretario nazionale Trasporto aereo

C’era una volta l’Italia del trasporto aereo. Era un’Italia fiorente, i cui cieli erano solcati da compagnie come AirOne, AirEurope, Lauda Air, Blu Panorama, Eurofly, Meridiana, Alpi Eagles, Volare, Air Dolomiti, Air Sicilia – tanto per citare le principali – oltre naturalmente dalla mitica Alitalia, uno dei simboli del tricolore nel mondo, con il suo acronimo “AZ”. Sono passati poco più di vent’anni e l’Italia non ha più ali (proprie) su cui volare. Tutto sparito. Cancellato. Come è stato possibile? Lo chiediamo, alla vigilia della cessione di ITA Airways (ciò che resta di Alitalia) a Lufthansa, a Ivan Viglietti, segretario nazionale UIL Trasporti – trasporto aereo, sindacato che si è battuto duramente negli ultimi vent’anni per salvare un po’ di italianità nei cieli.

Viglietti, ma come siamo arrivati a questo punto? Come è possibile che tutte le compagnie aeree italiane, salvo qualche rara ed eroica eccezione, siano sparite? Perfino la Bolivia, uno dei paesi più poveri al mondo, ha la sua compagnia aerea.

Fermo restando che i fenomeni sono complessi, proviamo a semplificare per ricostruire ciò che è accaduto e che da vent’anni mi fa inferocire – risponde Viglietti – La prima causa sono state le scelte politiche che hanno trasferito le competenze sul trasporto aereo alle Regioni, come è avvenuto per la sanità. Da quel momento si è interrotta qualsiasi strategia nazionale, qualsiasi idea di “sistema nazionale” del trasporto aereo che includesse aeroporti, compagnie aree, bacini d’utenza e regole. E di conseguenza si sono messe in moto politiche locali, spesso campanilistiche, a volte a dimensione perfino provinciale, che hanno creato concorrenza fra gli stessi aeroporti, con l’assegnazione a organizzazioni private delle strutture aeroportuali.

Ciò che è accaduto per Malpensa 2000… Fu una disfatta.

Esattamente. Malpensa 2000 fu concepita per diventare il grande hub nazionale, ricordate? Ma subì l’assurda concorrenza di Linate, dimostrando che i governi non erano in grado di far fronte alle logiche campanilistiche. Vent’anni dopo possiamo dire che Malpensa 2000 era l’unica possibilità per Alitalia – e quindi per il nostro Paese – di diventare uno dei principali vettori europei, grazie all’alleanza con KLM. Invece fu uno stillicidio di veti incrociati, contrasti politici e il risultato sarà la cessione a breve di quel che resta di Alitalia ai tedeschi.

E Malpensa?

Ha impiegato 15 anni per riprendersi. Ma non è quella che avevamo pensato, progettato e immaginato nel Duemila.

Perso l’aereo, insomma.

Sì e non si torna indietro. Oggi i player non sono più le compagnie aeree ma i blocchi continentali. Mentre in Italia continuiamo a farci concorrenza, fra aeroporti perfino di piccole dimensioni, il mondo del trasporto aereo si confronta fra blocco europeo, blocco statunitense, blocco del sudest asiatico e blocco arabo.

E poi ci sono state le low cost, in Italia. Che ruolo hanno avuto?

Questo è il secondo elemento che ha determinato l’implosione del settore in Italia. E si tratta di una anomalia, dal nostro punto di vista ai limiti della legalità. Infatti, in questa frammentazione tutta italiana con lotte fratricide fra aeroporti, si sono astutamente inserite alcune low cost. Ma mentre in tutto il mondo si costruivano aeroporti in base ai bacini di utenza, in Italia si creavano bacini di utenza in base a dove erano collocati gli aeroporti. E come si creavano – e si creano – questi bacini d’utenza? Pagando la maggior parte delle low cost affinché portassero – e portino – passeggeri in quel dato aeroporto, al fine di rispondere ad interessi locali, spesso elettorali. Ogni aeroporto ha cercato il suo spazio, ha cercato di accapparrarsi – pagando – la sua fetta di passeggeri. Sia chiaro: le low cost hanno dimostrato una grande capacità industriale, ed è grazie a loro se le tariffe sono scese. Ma la spregiudicatezza con cui è stato distrutto il sistema attraverso questi fenomeni ha determinato il quadro attuale. Desolante.

Un quadro reversibile?

No, se vogliamo essere realisti.

Quindi l’Italia non potrà più avere un ruolo nel sistema internazionale del trasporto aereo? E nemmeno nei nostri cieli, solcati ormai esclusivamente da ali straniere?

Il settore del trasporto aereo dovrebbe essere strategico per una nazione. E i governi dovrebbero ragionare in termini di “sistema”. In Italia è stato fatto tutto il contrario, uccidendo le compagnie aeree nazionali e consegnando il settore alle low cost e agli stranieri che oggi sono i proprietari del nostro sistema di trasporti. Ci sono state ovviamente anche responsabilità da parte di molti manager delle compagnie aeree italiane, ma nel confronto sul mercato con diverse compagnie che applicavano contratti di lavoro con basse retribuzioni, che pagavano le tasse – assai ridotte – all’estero cioè nei paesi di registrazione e che percepivano contributi da parte degli aeroporti italiani per atterrare lì, è evidente che i vettori “storici” italiani non potevano che uscirne sconfitti. Com’era possibile reggere la concorrenza in queste condizioni? Detto questo, la UIL Trasporti ha sostenuto e continua a sostenere i 4 principi per poter ridare un po’ di dignità all’Italia che vola: primo, fissare regole di concorrenza chiare, che oggi non ci sono: i contributi alle compagnie devono essere erogati solo sulla base di gare pubbliche e trasparenti e non come avviene attualmente; secondo, definire il piano nazionale degli aeroporti, che stiamo discutendo con Enac, per creare finalmente un sistema nazionale: basta con gli aeroporti che si azzuffanno per rubarsi passeggeri con grande gioia delle compagnie straniere; terzo, applicazione obbligatoria dei minimi salariali per i lavoratori del settore: basta con il dumping salariale, perché qui serve prima di tutto una norma di civilità.

E il quarto punto?

L’Italia deve investire sui vettori, anche di proprietà estera, che lavorano, producono, hanno sede e pagano le tasse sul territorio italiano, perché la ricchezza che producono grazie al mercato italiano deve essere redistribuita qui, deve restare in Italia e non prendere il volo per finire nelle tasche di chi sta oltre i confini nazionali.

Foto in alto: un aereo Alitalia con la sua storica livrea (foto PKOZMIN – Pixabay)