Umberto Bossi, mai mulà

bossi lega malattia

Non c’è dubbio, come ha commentato il figlio Renzo, che Umberto Bossi sia un “vero guerriero”. Capace di sconfiggere anche i più devastanti accidenti che possono capitare nella vita di ciascuno di noi. E che a lui, fondatore della Lega, politico che i posteri troveranno nei libri di storia, supposto che si studierà ancora la storia, sono capitati a raffica negli ultimi quindici anni.

Dal giorno in cui, era l’11 marzo del 2004, fu colpito da un ictus. Da quel momento è cambiata la sua vita, dopo che lui l’aveva cambiata (in meglio) a molti di coloro che gli erano stati accanto e che, tutti assieme, avrebbero voluto e forse potuto cambiarla anche agli italiani.

Tre lustri di fatiche fisiche per arginare la malattia, per contenerne gli effetti; fatiche politiche per non tradire la sua Lega, per allontanare le sirene che l’avrebbero voluto riferimento di un nuovo partito del Nord, affrancato dai progetti nazionali di Matteo Salvini; fatiche psicologiche per dominare i cattivi pensieri attorno ai tanti che gli hanno voltato le spalle; fatiche per rispondere ai magistrati che l’hanno messo sotto attacco, per difendersi nei processi e dagli scandali che li avevano generati; fatiche per galleggiare imperturbabile, quanto meno all’apparenza, sopra i pettegolezzi e le malignità per le circostanze del coccolone che lo ha menomato nel fisico; fatiche per non fare un dramma degli insuccessi rispetto alla secessione e finanche al federalismo, sacrificati nelle braccia di quella che una volta era Roma ladrona. Benché, per Umberto Bossi, Roma non abbia mai cessato essere anche ladrona.

Sfrontato e irriverente, il Senatùr lo è sempre stato. Magari anche un tantinello cacciapalle, come negli anni della sua gioventù quando raccontava ai famigliari di essersi laureato in medicina e invece era semplice impiegato all’Aci di Gallarate. Sfrontatezza e irriverenza che gli sono servite per far crescere la Lega, riunendo sotto una sola bandiera – era il 1989 – i diversi gruppi autonomisti dell’Italia settentrionale. O per inventare la Padania, il dio Po e le ampolle del Monviso. Cifre, la sfrontatezza e l’irriverenza, che fanno premio anche sulle malattie.

Giancarlo Giorgetti, uno dei suoi fin dalla prima ora, ci ha detto una volta che Bossi ha oggi bisogno di essere protetto, difeso, coccolato: non tanto perché icona insostituibile di un periodo storico e padre nobile di un partito, quanto perché esposto alle più evidenti strumentalizzazioni. “Mai mulà” è uno dei suoi slogan. Per questo pare stia superando e per fortuna anche l’ultima crisi, per tornare al più presto a salutare militanti ed amici battendo il pugno sul palmo della mano o a fare a braccio di ferro con chi gli viene a tiro. Quasi ad esorcizzare una menomazione che è sì nel corpo, ma forse anche nell’animo di un uomo che comunque lo si giudichi ha già lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva, che non ha mai avuto bisogno di indossare felpe e giacche delle forze dell’ordine per veicolare i suoi messaggi, per fare colpo sulla gente. Gli bastava una canottiera.

Bossi lega malattia – MALPENSA24