VISTO&RIVISTO Hill of Vision: Capecchi si dissocia. Almeno si spera

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di Andrea Minchella

VISTO

HILL OF VISION, di Roberto Faenza (Italia 2022, 101 min.).

La vita di Mario Capecchi, soprattutto nella fase dell’infanzia dell’adolescenza, è stata complicata e piena di drammi. Raccontarla senza cadere nella retorica delle vicende che attraversano periodi difficili dell’umanità come la guerra o le migrazioni di massa è molto difficile. Ma da Roberto Faenza, che ci ha raccontato storie bellissime con una grammatica ed uno stile originale e poetico (basti pensare al piccolo ma gigantesco “Sostiene Pereira”), ci si aspettava un’opera più vera e schietta, lontana dai “cliché” narrativi che, soprattutto nella cinematografia statunitense, vengono utilizzati senza misura per confezionare le storie di vite di eroi contemporanei e moderni le cui esistenze, spesso, non sono mai state raccontate al mondo.

Questo “Hill of Vision”, infatti, è un film molto “americano”, perché Roberto Faenza già da qualche tempo preferisce lavorare nella terra “dell’abbondanza”, come la chiama Wim Wenders, anziché nel nostro paese. E la scelta di “americanizzare” questo progetto ha limitato e diluito un lavoro che, sulla carta, sembrava essere molto più convincente e certamente più appassionante. La storia di un bambino italiano che, durante la seconda guerra mondiale, vive esperienze traumatiche e finisce vagabondo in un’Italia martoriata dai tedeschi e dalla povertà estrema, è stata sovente al centro di film e di libri. Raccontare l’intensa e drammatica vicenda di Mario Capecchi necessitava, quindi, una ricostruzione più personale e più intima.

A partire dalla sceneggiatura, qui praticamente inesistente e piatta, bisognava tratteggiare una storia che si incentrasse sì sulle vicende, ma soprattutto sulle emozioni travolgenti e profonde che il protagonista è stato realmente costretto a vivere. La guerra totale, un padre fascista anaffettivo e violento, la madre che si ammala di depressione, la fuga piena di speranza negli Stati Uniti, sono tutti elementi potenti e carichi di significato che hanno segnato inevitabilmente il carattere e l’anima del futuro scienziato italo-americano.

Ma la narrazione cronologica e quasi scolastica di queste vicende, senza un’operazione introspettiva e sincera che facesse luce, anche in maniera innovativa e non scontata, sulle dinamiche più intime dell’anima del ragazzo, ha reso la pellicola di Faenza una stucchevole e superficiale cronaca dell’esistenza di Mario Capecchi. La vita dello scienziato non aveva certo bisogno di retorica e luoghi comuni per essere meglio tradotta in chiave cinematografica. Il dolore e la tragedia che macchiano il percorso del giovane ragazzo rendono la sua vita una testimonianza preziosa per le generazioni future. Era compito di Faenza partire, probabilmente, da una storia ben scritta che potesse esaltare un filo narrativo personalizzato e convincente sul quale costruire un film completo e autentico.

Faenza commette l’errore di credere che la grandiosità dei fatti raccontati può bastare alla fluidità del film. Proprio per le storie che sono incredibilmente affascinanti e piene di significato, è necessario una pianificazione certosina e articolata per individuare la storia giusta e la modalità di raccontarla più efficace e opportuna. Il rischio, altrimenti, è di sbiadire una vita degna di essere cristallizzata e presa d’esempio per tutta l’umanità.

Come spesso accade per questo tipo di film, mediocri che raccontano vite straordinarie, la sequenza del vero Mario Capecchi che riceve il Nobel per la medicina nel 2007 riesce in parte ad annullare il pessimo risultato che Faenza ha ottenuto realizzando questo film.

Prodotto insieme al gigante dei costumi Milena Canonero, che ha curato anche i bellissimi abiti di scena, la pellicola sembra più una serie di seconda scelta della televisione di Stato più che un film di un bravo regista come Roberto Faenza che racconta una vita tortuosa e dolorosa come fu quella di Mario Capecchi.

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RIVISTO

UNBROKEN, di Angelina Jolie (Stati Uniti 2014, 137 min.).

Una sorprendente Angelina Jolie sceglie e dirige una storia intensa e iconografica. La vita dell’italo americano Luigi Zamperini, atleta e militare statunitense, diventa un potente simbolo di resistenza, tenacia e vittoria.

La Jolie confeziona un film quasi perfetto che per più di due ore fa vivere quelle tragiche esperienze ad un pubblico che si immedesima sin dalle prime sequenze con il protagonista che vivrà un’avventura piena di dolore ma anche di riscatto e di speranza. Da rivedere per capire che i cattivi, in una guerra, sono sempre molti di più di quelli che uno può credere.

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