VISTO&RIVISTO Mon Crime: per ridere, per riflettere e per rilassarsi

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di Andrea Minchella

VISTO

MON CRIME- LA COLPEVOLE SONO IO, di Francois Ozon (Mon Crime, Francia- Belgio 2023, 102 min.).

Non sarà un capolavoro, certo, ma “Mon Crime” conferma la poliedricità di un regista, Francois Ozon, a suo agio con qualsiasi genere di racconto. In questo caso il regista francese immerge un tema universale, come la pericolosa e subdola arroganza maschile nel mondo dello spettacolo, nella “belle epoque” parigina. La ricostruzione degli ambienti e dei costumi è piacevole e ben curata. Gli attori sono freschi e capaci. I mattatori Luchini, Boon e Huppert completano una narrazione fluida e correttamente ritmata.

Dunque “Mon Crime” è uno di quei film che non sembra avere sbavature né zone d’ombra tranne, forse, l’assenza forzata di una profondità tridimensionale che spesso appartiene alle pellicole francesi di alcuni registi. Ma Ozon qui ha deciso, rispetto ad altri suoi lavori più complessi e meno stravaganti, di raccontare una storia apparentemente semplice che si incastra perfettamente con equivoci, amori non corrisposti e un mondo dello spettacolo sempre pieno di insidie per le giovani attrici cariche di speranze e di sogni per le loro carriere. Ma forse c’è di più.

“Mon Crime”, che è tratta dall’opera teatrale del 1934 di Berr e Verneuil, gira attorno al tema quanto mai attuale del produttore di spettacolo che approccia sessualmente una delle sue tante attrici con la promessa di un importante ruolo in uno dei suoi prossimi lavori. L’originalità della storia, però, risiede in quello che avviene dopo l’omicidio del produttore Montferrand da parte dell’attrice giovane, bella e un po’ ingenua Madeleine. Subito è chiaro, anche grazie alle esilaranti esternazioni del giudice Gustave, che l’autrice del crimine contro il produttore è imputabile solo per legittima difesa e dunque non farebbe nemmeno un giorno di carcere. Anzi, il clamore mediatico porterebbe una ventata di notorietà che lancerebbe la giovane e sconosciuta attrice alla ribalta. L’incuriosita e perseverante Madeleine, aiutata dalla sua amica Pauline inesperta avvocato, decide, dopo un iniziale tentennamento, di incolparsi dell’omicidio proprio per la possibilità di dare una svolta alla sua carriera.

Ozon mette in campo la sua capacità narrativa per confezionare una pellicola misurata in cui si ride spesso. Ma se spostiamo dall’obbiettivo della cinepresa la leggerezza che permea tutta la vicenda, rimane un’interessante riflessione sulle numerose vicende, non ultima quella in cui è stato coinvolto il produttore Harvey Weinstein, in cui giovani e sconosciute attrici muovono accuse nei confronti di potenti ed arroganti produttori. Nessuno mette in dubbio la veridicità dei racconti delle vittime, ma spesso accade, come per l’italiano Fausto Brizzi, che le accuse cadono nel vuoto e che le giovani vittime non sono più sconosciute ma anzi hanno una storia da raccontare a suon di migliaia di euro.

In “Mon Crime” la leggerezza viene adagiata sulla vicenda giudiziaria in cui il limite tra vittima e carnefice è sottilissimo e, spesso, impossibile da superare. Da quando esiste l’industria moderna dello spettacolo esistono questo tipo di effetti collaterali. Spesso veri e fondati, in cui mostruosi impresari barattano piccoli ruoli con proposte indecenti e disumane, a volte infondati o ingigantiti da attrici sconosciute con lo scopo di accrescere la loro notorietà in un mondo pieno di insidie, difficoltà ma anche di persone serie che mettono al centro della loro professionalità la bravura e il talento.

Rimane un po’ di amaro guardando film come questi, se pensiamo che difficilmente la cinematografia italiana è in grado di realizzare questo genere di pellicole senza scadere nel retorico, nel patetico o nel “trash”. Peccato, perché il nostro cinema avrebbe tanto bisogno di commedie come queste, ben scritte e ben realizzate.

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RIVISTO

MASQUERADE, di Bob Swaim (Stati Uniti 1988, 91 min.).

Ingiustamente dimenticato dalle televisioni e dalle piattaforme, questo bel “thriller” di fine anni ottanta racchiude in sé tutti gli elementi della truffa perfetta. Il bel ragazzo skipper e ambizioso, un raggiante Rob Love, la bella ragazza giovane e romantica sposata con un anziano miliardario, e tanti personaggi secondari che compongono un gruppo eterogeneo di persone pronte ad ogni cosa per un’ingente somma di denaro.

Il film è scritto bene e realizzato con maestria, anche se il timbro evanescente della Hollywood “80” è parecchio visibile e riconoscibile in molti elementi narrativi e stilistici. Da cercare e rivedere.

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