VISTO&RIVISTO Non è stato maltrattato nessun umano. Forse

minchella besson visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

DOGMAN, di Luc Besson (Francia 2023, 114 min.).

Non perfetto. Non un capolavoro. Nulla di minimamente paragonabile a “Subway”, “Nikita” o “Leon”. Ma “Dogman” è un interessante ritratto che ha il coraggio di sovvertire i canoni classici del “dark thriller” per restituirci una favola moderna in cui il protagonista diventa pilastro centrale dell’intera vicenda. Forse l’errore più grande che ha commesso Luc Besson è nella scelta di come raccontare la storia. Da un autore come lui ci si deve aspettare non solo una storia originale, inedita e potentemente iconografica, quella di “Dogman” lo è, ma anche una tecnica narrativa sorprendente e innovativa che giustifichi e rafforzi la grandezza del racconto.

L’arresto iniziale da parte della polizia del protagonista Douglas, e l’incontro con la psichiatra da cui scaturisce un lungo “flash back” che si incastra con il presente risulta debole rispetto la poetica e la delicatezza di tutta la vicenda. Per il resto “Dogman” si poggia quasi interamente sulla profonda e sorprendente figura dell’attore protagonista Caleb Landry Jones che riassume in maniera sfacciata tutte le contraddizioni che rendono unico e speciale un essere umano.

Besson lo carica di simboli e feticci con una capacità unica e rara nel saper tratteggiare in maniera sincera e intimista l’essere umano fragile che trova nella sua debolezza un punto di forza per sopravvivere. Besson fa di più. Inserisce nella vita del protagonista Douglas l’amore incondizionato per i cani. Questo elemento trasforma “Dogman” in un viaggio mitologico tra creature divine che cercano in ogni modo di sopravvivere alle ingiustificate e penose violenze che gli uomini perpetuano nei confronti dei più deboli. “Peggio degli animali” sembra sussurrarci Luc Besson mentre ci racconta la sua storia. Solo chi ama gli animali, solo chi considera i cani come esseri divini, può immedesimarsi fino in fondo con Douglas e con la sua esistenza dolorosa e piena di sofferenze. Besson si può permettere di realizzare un film non per tutti, ma per chi, come lui, considera ogni essere vivente come degno di poter vivere sulla terra. E questo non è un aspetto marginale.

“Dogman” racconta di un ultimo. Un ragazzo sensibile che la sua famiglia espelle come un essere inferiore. E che da quel rifiuto trae la sua forza per mettersi a disposizione degli ultimi, come lui. Una vita, quella di Douglas, tra l’amore per i cani e la passione incondizionata per la poesia e l’amore delle opere di Shakespeare. L’arte e l’amore diventano un unico elemento capace di fare scorrere il sangue nelle vene. E di far sentire vivo anche l’ultimo dei sopravvissuti. Besson, che commette più di un errore grammaticale e stilistico, accende il riflettore sulle fragilità e sul desiderio di ogni uomo di nascondersi e di nascondere le proprie debolezze. Quando Douglas si trucca e diventa Edith Piaf, anche noi con lui indossiamo una maschera sperando di non essere notati dalla folla. Quando Douglas parla con i cani, anche noi crediamo di poter decifrare quelle comunicazioni fatte di sguardi e di fedeltà. Questa è la grandezza di Besson. Di raccontare una storia fragile carica di violenza inespressa che rimane sempre ai margini delle inquadrature. Non c’è bisogno di mostrare la miseria umana. Basta soltanto accennarla. Se ne sente l’odore. Se ne può ascoltare il tremendo rumore.

Dunque Besson ci racconta una storia di religiosità laica, dove Douglas, come San Francesco, si distanzia dai dogmi religiosi per rielaborare una fede inedita, laica e tremendamente umana. “Dog”, d’altronde, è la parola “God” al contrario, come se per capire e comprendere certi comportamenti umani si debba inevitabilmente rovesciare i paradigmi e i parametri per leggere la realtà. Tra “Joker” con Joaquin Phoenix e alcune sequenze che ricordano Almodovar, tra “Il Silenzio degli Innocenti” e una versione “dark” de “La Carica dei 101”, “Dogman” riesce comunque a stupire e a commuovere il pubblico che, seppur frastornato e disorientato, apprezza le caratteristiche poetiche della narrazione.

Sfibrato della struttura più esterna ed estetica, che non sempre convince, il film di Luc Besson colpisce al cuore di chi sa amare incondizionatamente tutte le fragilità e le sfaccettature che siano proprie o che siano di un altro essere vivente.

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RIVISTO

ANGEL-A, di Luc Besson (Francia 2005, 90 min.).

Una favola in bianco e nero che trasforma una notte a Parigi in un affascinante e intimo viaggio nell’anima degli ultimi. Un affresco che strizza l’occhio a “Il Cielo sopra Berlino” di Wim Wenders e al capolavoro di Frank Capra “La Vita è una Cosa Meravigliosa”, trasformando la vicenda in una moderna “Odissea”. Apparentemente piccolo e sussurrato, questo film è in realtà gigantesco e potente.

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