VISTO&RIVISTO Un possibile cortocircuito sempre in agguato

minchella visto rivisto joon-ho

di Andrea Minchella

VISTO

PARASITE, di Bong Joon-Ho (Corea del Sud 2019, 132 min.).

Un viaggio di più di due ore nelle zone più nascoste e pericolose della nostra anima. Un viaggio asfissiante e potentemente evocativo nelle pieghe più putride dell’inconscio umano.

Il bravo e poliedrico Joon-Ho realizza una perfetta e avvincente trasposizione cinematografica dei peggiori istinti umani ma anche della perenne e invalidante divisione della società in chiare e blindate classi sociali. Lo scontro sociale, vivo e violento in quest’era contemporanea, diventa il filo conduttore di un racconto raccapricciante ma non meno violento di parecchi avvenimenti cui siamo spesso costretti ad assistere o di cui siamo spesso passivi testimoni, seduti comodamente sui nostri divani davanti ad una sempre più bulimica e forviante televisione.

Il film, giustamente premiato nel 2019 a Cannes con la Palma d’Oro, viene frettolosamente rimesso in circolo per via delle 6 candidature agli Academy 2020 e dei diversi premi che continua ad accumulare in tutto il mondo. Il riconoscimento globale verso quest’opera d’arte sembra quasi spinto da un tentativo surreale di esorcizzare un racconto potente e pericolosamente più reale di quanto ci si possa immaginare. Già nel 2006 Joon-Ho, infatti, con il suo “The Host” aveva raccontato, al netto del soggetto fantascientifico, il pericolo che proviene dai laboratori, poco controllati e con regole di sicurezza non completamente efficaci, in cui si testano virus potenzialmente mortali e i loro possibili antidoti.

Nel film, egregiamente scritto e sceneggiato dall’attento regista coreano, sentiamo forte l’influenza cupa e minacciosa della vicina Corea del Nord. Ironia e sarcasmo di alcune scene del film servono ad allontanare la paura intrinseca ed atavica della ingombrante presenza di un “vicino di casa” estremamente ed ingiustificatamente imprevedibile e pericoloso.

Il racconto, chiaro e lineare, si avvale di una costruzione scenica e di un montaggio che rendono l’intera pellicola un viaggio profondamente claustrofobico che non contiene una sbavatura, né una scena o un’inquadratura di troppo. Ogni fotogramma viene scientificamente e poeticamente inserito in un “puzzle” che alla fine regala magicamente una serie di emozioni che difficilmente possiamo tenere a bada.

Il contrasto perenne tra belli e brutti, chiari e scuri, ricchi e poveri, sani e malati, che contraddistingue in maniera emblematica la società contemporanea, viene messa in scena da un’opera completa e potentemente iconografica, in cui ogni scelta del regista svolge una funzione unica e preziosa al servizio di una vicenda epica e corale, sussurrata e individuale allo stesso tempo.

Estremamente simbolica la funzione dell’acqua. La violenta tempesta che si abbatte sulla città, ma che ha conseguenze nefaste sulla parte bassa della città, dovrebbe riequilibrare le ingiuste divisioni che il mondo destina ai diversi gruppi sociali. L’acqua deve pulire, la violenza dell’acqua deve riordinare. La natura, dopotutto, non fà sconti a nessuno. Certo è che un muro in cemento armato, costruito su una collina, è più duro di un muro di mattoni costruito in valle. Anche la natura, quindi, non sempre può rimettere a posto ciò che l’uomo divide, squarcia.

Insomma, Bong Joon-Ho ci regala un potente racconto, in cui anche l’odore di una classe sociale diventa motivo disgregante in una società disposta a qualsiasi cosa per ritagliarsi un pezzo di tranquillità e di serenità, a discapito di chi è più debole e più sfortunato.

***

RIVISTO

FUNNY GAMES, di Michael Haneke (Austria 1997, 103 min.).

Quando nel 1997 uscì questo “Funny Games” molti non compresero la follia e la violenza gratuite che esplodevano in questo raccapricciante racconto. Poi, guardando anche la filmografia del potente ed attento Haneke, ci si rese conto che una vicenda così simbolica non poteva che rimandare anche alla follia dell’Olocausto, in cui da un giorno all’altro, senza un motivo chiaro e ragionato, vennero cancellate vite, dignità e pensieri di milioni di persone da parte di bianchi, tranquilli e giovani tedeschi che semplicemente svolgevano un compito che gli era stato imposto.

La violenza gratuita e immotivata dei “lager” e dei rastrellamenti, è la stessa che i due giovani protagonisti infliggono alla piccola e gentile famiglia che viene tenuta in ostaggio in una tranquilla e rassicurante cittadina turistica austriaca dove ogni elemento tende a somigliare alle persone che la frequentano.

Un racconto lineare ed intenso che ci descrive in maniera cruda anche la sorda ed autoreferenziale tranquillità in cui le classi privilegiate si autoimpongono di vivere. Uno spaccato interessante sulle distanze abissali che esistono tra i diversi gruppi sociali di una comunità. Un film epico per la cristallina e esplicita capacità di stigmatizzare quanto la violenza umana sia la peggiore nemica dell’uomo, soprattutto se scaturita da noia e torpore mentale.

Lo stesso Haneke, nel 2007, realizzò un” Funny Games” americano, speculare e inquietantemente identico. La violenza è, dunque, un algoritmo universale e pericolosamente attivo in ogni epoca ed in ogni luogo del mondo.

minchella visto rivisto joon-ho – MALPENSA24