“P.o.w.”, la guerra in Africa e la prigionia nel nuovo romanzo di Tito Olivato

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BUSTO ARSIZIO – Cheren, cruenta battaglia tra italiani e inglesi combattuta durante la Seconda Guerra Mondiale sulle montagne dell’Eritrea, poi dimenticata dai libri scolastici. E i campi di concentramento in Africa e in India, dove finirono i prigionieri di guerra. Sono queste le vicende al centro di “P.o.w.” (acronimo per “prisoner of war”, prigioniero di guerra), il secondo romanzo di Tito Olivato. Il musicologo di Busto Arsizio, e docente di lettere al “Falcone” di Gallarate, per la stesura dell’opera ha utilizzato il diario del padre Guido, testimone diretto dei fatti accaduti e in seguito maresciallo in forze alla caserma “Ugo Mara”.

Tra cadaveri dilaniati ovunque

La “storia di amicizia e di guerra, di morte e di amore, oltre i campi di concentramento inglesi, in una corsa spasmodica verso la vita” trae origine da un diario scritto tra il luglio e il novembre 1946, momento in cui terminò la prigionia, e formato da una serie di appunti, scritti con il lapis su fogli di carta igienica rilegati con uno spago. L’arco storico narrato risale invece fino al 1938 e fulcro del romanzo è la battaglia di Cheren, combattuta nel 1941 sulle montagne dell’Africa Orientale. Gli italiani, isolati dal governo fascista, con scarsissimi rifornimenti e senza avere mai sostituzioni, per cinquantasei giorni si opposero strenuamente a forze inglesi con mezzi superiori e meglio preparate. E combattendo tra cadaveri dilaniati ovunque, a causa dell’impossibilità di seppellirli sia per il terreno roccioso che per la quantità. Lo scontro si concluse con la resa italiana, ma gli avversari riconobbero l’onore delle armi. L’opera ha richiesto un lavoro impegnativo, sia per quanto riguarda l’aspetto puramente materiale, data la fragilità del supporto e la difficile comprensibilità della grafia, sia quello legato alla ricostruzione del contesto storico, che ha visto l’autore applicare anche tecniche di studio e analisi proprie della musicologia.

La parola “umano” cancellata dal vocabolario

Olivato, la cui famiglia vanta origini tra Massa, in Toscana, e il Veneto, è residente a Busto Arsizio. Oltre a saggi di musicologia, e diversi articoli di storia locale su VareseFocus, ha scritto “Non sono più mia”, primo romanzo incentrato sulla figura di Beata Giuliana. In “P.o.w.”, il successore, ha raccontato anche la realtà dei campi concentramento vissuta dal padre: «Una volta che ne hai visto uno, li hai visti tutti: il filo spinato, le garitte, le baracche di legno e le punizioni corporali a ogni piè sospinto». E su tutta la vicenda commenta: «Non ho avuto la possibilità di conoscerlo bene, visto che è morto quando avevo dieci anni. Ma ora, che ho approfondito questi fatti, ho compreso meglio la sua tempra, e da dove avessero origine alcuni suoi sguardi, e rimpoveri». E conclude: «È stato uno scontro dove la parola “umano” era ormai cancellata dal vocabolario. Però, nonostante tutto, come in “Veglia”, la poesia di Ungaretti, alla fine mio padre si è aperto alla vita».

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