Al congresso della Lega varesina non ha vinto nessuno

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Dal congresso di Busto Arsizio esce una Lega varesina ancora più debole di prima. Il risultato di parità (il risicatissimo successo di Andrea Cassani per la segreteria è un dato meramente numerico) determina un partito diviso a metà, di qua Cassani con la casacca di Matteo Salvini, di là l’altro candidato, Giuseppe Longhin, contiguo a Umberto Bossi e al suo neo Comitato del Nord. Al quale aderisce in modo virtuale o simbolico il 50 per cento dei militanti che hanno votato al congresso, non tutti schierati da quella parte per convinzione sulla necessità di recuperare alla Lega l’identità delle origini, bensì per una pura questione di leadership interna, cioè di potere. Per dirla in chiaro: in gioco non c’era affatto il riposizionamento su un ideale vero, piuttosto una gara sul “qui comando io” e, per alcuni, un malcelato desiderio di rivalsa. Risultato: non ha vinto nessuno.

Da qui dovrà partire il nuovo segretario del movimento autonomista che ha dominato la politica locale negli ultimi trent’anni, che alle elezioni politiche di settembre ha perso l’appeal del passato, che si ritrova a ruota dello straripante Fratelli d’Italia e che, piaccio o no, non è più nelle condizioni di dettare la linea del centrodestra e, soprattutto, di imporre i propri uomini e donne nei posti istituzionali di vertice. Se il congresso leghista ha il merito di essere stato finalmente un congresso vero, gli esiti non depongono per un immediato rilancio politico del Carroccio. La divisione interna è al momento penalizzante e foriera di dissidi a breve, a medio e a lungo termine. Al di là del fair play pubblico tra i due candidati, delle dichiarazioni di principio sulla necessità di collaborare, delle reciproche attestazioni di stima e di desiderio di unità, Andrea Cassani avrà il suo daffare per tenere insieme la brigata.

Che arriva all’assise congressuale con un retroscena di tensioni, colpi bassi, malignità e cattiverie riconosciute e sottolineate, tra l’altro, dai due contendenti nei loro interventi al Sociale di Busto Arsizio. Insomma, il retroterra non è dei più promettenti. Ha voglia il segretario lombardo Fabrizio Cecchetti ad addossare colpe alla “solita stampa prezzolata e menzognera” di fronte alle chat leghiste che pullolano di messaggi al veleno, degli uni contro gli altri. Imbarazzante.

 Altro discorso, altre modalità di approccio ai problemi. La realtà dei fatti è che alle viste ci sono le elezioni provinciali e, subito dopo, regionali. La Lega di Varese è chiamata a supportare senza se e senza ma Attilio Fontana, che si ripresenta per la presidenza della Lombardia. Una immediata, impegnativa incombenza che non ammette tentennamenti di sorta. Cassani ha subito il compito di ricucire alla bisogna il solco che spezza a metà il partito. In questo specifico caso non dovrebbe incontrare eccessive difficoltà: se Fontana uscisse male dalla consultazione regionale, vincere ma vincere male, la faccenda politica si complicherebbe per tutti, per i salviniani e per i bossiani. E non serve spiegare perché. Nel frattempo, incombe l’appuntamento per Villa Recalcati, fissato per fine gennaio. Elezioni di secondo livello, ma non per questo meno importanti e decisive per gli equilibri politici interni e con gli alleati. Un orizzonte di peso per il neo segretario che conosciamo determinato e decisionista, ma che non può contare su una maggioranza schiacciante, che possa abbattere tutti gli ostacoli che frapporrà il presumibile, calcolato dissenso degli avversari interni.

PS. Al congresso è stata notata da tutti l’assenza del ministro Giancarlo Giorgetti, al momento il leghista di maggior prestigio politico a Varese. Quali impegni l’hanno tenuto lontano da Busto Arsizio? Sostiene qualcuno: non si è presentato per non scegliere. Possibile? Di sicuro, Giorgetti, uomo di lago, è uno che sa come si rimane a galla, anche se a volte si nasconde sul fondo per avere agio di riemergere al momento giusto. Magari per far affondare qualcun altro.

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