Giustizia, Santalucia (Anm) a Busto: «Riforma non piace a nessuno. Anche a chi non ha scioperato»

busto giustizia

BUSTO ARSIZIO – «Non è un mettersi di traverso alle riforme, perché siamo perfettamente consapevoli che la giustizia deve migliorare la sua resa di servizio, ma vorremmo una buona riforma». Non è polemica ma è precisa la posizione del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia intervenuto ieri, lunedì 16 maggio, alla tavola rotonda (pensata come momento di informazione ai cittadini) sul tema della riforma dell’ordinamento giudiziario organizzata dall’Anm in Tribunale a Busto Arsizio.

Divario generazionale

Una presenza importante, quella di Santalucia, nel momento in cui arrivavano i dati relativi all’adesione all’astensione dall’attività ordinaria delle toghe di tutta Italia. Se a livello nazionale il risultato si è rivelato “pallido” (48% di adesioni) a Busto si è superato il 90%. «Un’adesione plebiscitaria – ha detto Santalucia – Elevatissima nei piccoli tribunali dove le toghe sono più giovani ed evidentemente avvertono di più il pericolo di questo mutamento del modello di magistrato. Una cosa è certa: questa riforma non piace a nessuno. Anche a chi non ha scioperato. La giornata di oggi (ieri, lunedì 16 maggio, per chi legge) è dedicata al confronto. Direi senza enfasi che si tratta di un atto di generosità, perché nel momento di maggiore crisi della nostra immagine e della nostra capacità di comunicazione all’esterno ci siamo addossati una fortissima responsabilità». E ancora: «Combattiamo non per avere vantaggi personali, ma perché questa riforma non produce un miglioramento nella qualità del servizio».

Carrierismo e mannaia

Santalucia ha affrontato varie criticità. A cominciare dalla «mannaia dei due anni allo scadere dei quali un processo sfuma, ma la mannaia temporale non farà sì che se il Tribunale di Napoli ha 50mila fascicoli arretrati questi si risolvano all’istante, per questo ci deve essere fornita una macchina giudiziaria più rapida» fino al “carrierismo” che «questa riforma vuole alimentare. E questo è elemento di grande preoccupazione. Noi intendiamo il magistrato sul modello costituzionale: senza speranza e senza timori».

Not in my name

Il presidente del Tribunale di Busto, Miro Santangelo, ha parlato di «coraggio nell’aderire a questa astensione. Perché agli occhi di molti cittadini questa astensione vuole andare a proteggere dei presunti privilegi, mentre noi chiediamo una riforma che migliori davvero il sistema giudiziario. Aderire allo sciopero ha un significato preciso: dire chiaramente che questa riforma non ha l’approvazione dei magistrati. C’è un’espressione molto in voga: not in my name. O meglio not in our name», mentre di segno completamente opposto è stato l’intervento del procuratore di Busto Carlo Nocerino.

Avvocati e pagelle

«Non voglio parlare dell’astensione, perché i numeri sono chiari e parlano di una non unitarietà, ma voglio parlare di comunicazione. Del messaggio che dobbiamo dare ai cittadini. Noi dobbiamo uscire dai Tribunali, ascoltare i cittadini e assumerci (il riferimento è al caso Palamara) le nostre colpe. Dobbiamo recuperare la fiducia, non il consenso, dei cittadini. Cambiare passo: i cittadini devono sapere che la giustizia non è un nostro giocattolo, ma un servizio che coinvolge tutti». Nocerino ha quindi toccato due punti importanti. Il primo verte sull’efficienza della giustizia italiana. «Quando vengono fatti paragoni con i colleghi tedeschi o inglesi viene tralasciato un particolare importantissimo. Questi colleghi non sono più bravi o preparati. Semplicemente non devono inseguire un infinito catalogo di reati ma possono concentrarsi sui casi più importanti» ha detto il procuratore, puntando dritto verso l’obbligatorietà per il magistrato di esercitare l’azione penale. Il secondo punto riguarda il fatto che anche gli avvocati potranno stilare “pagelle” sull’operato del magistrato. «Non temerò mai il giudizio di un avvocato sul mio lavoro – ha detto – Nei consigli giudiziari vengono eletti i migliori. Mai ci saranno giudizi in malafede a causa di scontri in aule giudiziarie. Perché si tratta di persone perbene».

L’indipendenza del magistrato

Il sostituto procuratore di Busto Massimo De Filippo, tra i promotori della tavola rotonda, ha ricordato i capisaldi dell’appello rivolto dalle toghe bustocche «ad ogni singolo magistrato a livello individuale», puntando sulla necessità di garantire «l’indipendenza del magistrato. Quello previsto dalla riforma è un sistema gerarchico che accentra il potere. Il magistrato potrebbe essere esposto a delle pressioni. Potrà non succedere, ma se succedesse sappiamo che le pressioni possono essere molto forti e che, a quel punto, la legge potrebbe non essere più uguale per tutti».

Separazione delle carriere

L’ex procuratore di Busto Gianluigi Fontana ha bocciato «un sistema di valutazione dell’operato del magistrato basato su dati statistici», mentre il giudice della Sezione Penale bustocca Marco Montanari ha bocciato la separazione delle carriere, «di fatto già in atto dal 2006. Quanto contenuto nella riforma andrebbe a minare l’unitarietà giurisdizionale, la cultura giurisdizionale». Favorevoli alla separazione delle carriere, invece, il consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Busto Davide Toscani: «Giudici e pubblici ministeri condividono lo stesso percorso: è una famiglia dalla quale gli avvocati sono esclusi», a sottolineare la paura che un pubblico ministero possa influenzare un giudice che è parte terza nel processo, e il presidente della Camera Penale Samuele Genoni: «Separazione delle carriere non significa separazione dei ruoli. Occorrono due percorsi formativi diversi e due Consigli Superiori della Magistratura».

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