Corbo: «A Varese e in provincia serve un Partito Democratico che apra al dialogo»

Giovanni Corbo Luca Carignola
Giovanni Corbo (a sinistra) con Carignola, segretario dei dem varesini

VARESE – Il Partito Democratico. Quello che vince, anzi rivince a Varese e a Caronno Pertusella. Ma anche quello che perde, come a Busto, «dove, al di là del numero dei consiglieri incrementati rispetto al passato, è necessario avviare una profonda riflessione». Passando per quello che ormai viene battezzato il “campo aperto”, terreno sul quale i dem hanno deciso di giocare la partita per le provinciali, ma soprattutto in prospettiva delle elezioni regionali e politiche.

«Perché – spiega il segretario provinciale del Pd Giovanni Corbo – siamo il principale partito del centrosinistra, ma se pensiamo di “diventare” maggioranza da soli, rischiamo di buttare a mare gli ottimi risultati ottenuti». In altre parole: costruire ponti di dialogo con «l’elettorato in fuga dalle urne e che non ha più quale punto di riferimento il centrodestra». E’ un Giovanni Corbo a tutto campo. E il segretario provinciale dem non si sottrae dal commentare le situazioni più critiche e invita il partito a non crogiolarsi sugli allori conquistati, bensì a lavorare per consolidare e allargare il consenso politico.

Giovanni Corbo partiamo dagli ultimi successi elettorali in un provincia storicamente di centrodestra, ma che a quanto pare ha “sdoganato” il PD. E’ così? 
«Abbiamo vinto confermando i nostri sindaci a Varese e Caronno Pertusella. Realtà in cui siamo anche il primo in città. Due vittorie che confermano il trend delle amministrative di qualche mese fa dove abbiamo conquistato Saronno e Luino. C’è di che essere soddisfatti. Però teniamo i piedi per terra».

Piedi per terra. La sua prudenza è dettata dalla paura di volare alto, oppure da una realtà politica complessa da leggere, poiché in movimento e fluida come il magma? 
«Direi che è semplicemente realismo e lungimiranza. Realismo, perché non possiamo non interrogarci di fronte a un astensionismo arrivato ai massimi storici. Lungimiranza, perché proprio sulla base dei risultati ottenuti ora dobbiamo allargare il consenso politico. Due obiettivi che si intersecano».

In che senso? 
«C’è una fetta di elettorato che non è andata votare che possiamo definire moderata. E che, non trovando più punti di riferimento in un centrodestra sovranista e populista, va recuperato. Lavorare in tal senso vorrebbe dire allargare l’appeal politico, ma anche ridimensionare il fenomeno dell’astensionismo».

Obiettivi ambiziosi che hanno come orizzonte temporale la doppia sfida elettorale: le Regionali e le Politiche. Prima però ci sarà il doppio passaggio per eleggere il consiglio provinciale (a dicembre) e il presidente della Provincia a fine 2022. Alla luce delle amministrative, quali sono gli equilibri sullo scacchiere del Varesotto? 
«Qui torniamo ai “piedi per terra”. I risultati ottenuti dal centrosinistra devono essere valutati con molta attenzione. E alla luce della componente civica, che tra gli amministratori locali è piuttosto ampia. Insomma, attenzione a sbandierare un centrosinistra in vantaggio sul centrodestra. Detto questo, è chiaro che sul breve l’obiettivo è tornare a governare a Villa Recalcati. A partire dall’ottenere la maggioranza in consiglio. Servono visioni aperte e il Pd deve essere attrattivo. Solo dando vita a un “fronte civico moderato” potremo poi ragionare sulla presidenza in Provincia. Un passo alla volta».

Insomma un Pd “meno” di sinistra e più forza di centro?
«Credo che il centro, di cui molti parlano, non debba più essere interpretato con i vecchi schemi politici. Oggi il centro è dato da elettori che chiedono risposte concrete a chi amministra le città. E noi dovremo essere bravi a interloquire con quella classe media, che chiede di essere rappresentata e che non si sente più ascoltata dal centrodestra».

Torniamo a Varese, non alla vittoria bensì dalla giunta Galimberti. Il PD del 27% in città, a Palazzo Estense si comporterà da “partito egemone” o da “partito responsabile”? 
«Prima che da segretario di partito rispondo da sindaco. Tocca al primo cittadino decidere quali saranno i suoi assessori. A Varese quindi decide Galimberti. Ogni interferenza sarebbe inopportuna. Detto questo io auspico un Partito Democratico responsabile. Pensare, dopo aver rivinto a Varese, di essere una forza politica autosufficiente sarebbe un grande errore. Per questo, da segretario, mi aspetto una giunta che sappia rispettare i numeri usciti dalle urne ed essere al contempo una squadra di ampio respiro».

Ma tra i dem varesini non manca la tentazione di fare “l’asso piglia tutto” (o quasi). Quindi? 
«La mia è una valutazione politica e non puntuale su Varese. Il Pd deve avere una visione allargata».

Allargata al punto da lasciare la presidenza del consiglio comunale alle opposizioni? 
«A Busto e Gallarate mi pare che il centrodestra non si sia posto il problema in tal senso. E a Varese non mi permetto di entrare in decisioni che non spettano a un segretario provinciale. Facciano le giuste scelte, sapendo che quel ruolo non sarà certo un “casus belli”».

Busto e Gallarate al centrodestra e al primo turno. Con un PD, soprattutto a Busto, asfaltato. E’ iniziata l’autocritica? E da dove parte la ricostruzione? 
«Sono due risultati differenti. A Gallarate abbiamo perso, ma il partito, in termini percentuali, è molto vicino alla Lega. A Busto serve una riflessione profonda. Anche se i numeri in Sala Esagonale dicono che abbiamo due consiglieri in più rispetto al primo mandato Antonelli».

Vero, ma con un Brugnone in meno (passato a Italia Viva a mandato in corso) e un candidato sindaco e un civico in più. Insomma, giriamola come vogliamo, ma dietro al numero incrementato di consiglieri c’è un partito all’anno zero o quasi. Non crede? 
«La Civica di Maurizio Maggioni ha pescato in gran parte nel nostro bacino di voti. Quindi quell’11% è piuttosto bugiardo. Ma non voglio nascondere che occorre fare una lavoro importante. E che lo scenario bustocco è del tutto inedito rispetto solo a qualche mese fa. Oggi ci sono fermenti nuovi, o che si sono riposizionati, come il gruppo a cui fa riferimento Gigi Farioli e con il quale ci sono i presupposti per un’ampia discussione».