La Corte dei conti fa scricchiolare il piano industriale di Accam: servono nuovi soci

comitato inceneritore accam

BUSTO ARSIZIO – Non c’è pace. Quando di mezzo c’è l’Accam, l’unica cosa certa è che non ci sono certezze. E la conferma è arrivata anche dall’assemblea dei soci che si è riunita ieri, lunedì 18 marzo, per analizzare i dati (più che positivi) sulle emissioni, diffusi dal cda nei giorni scorsi e durante la quale sono poi spuntate una serie di problematiche che hanno minato la bontà del piano industriale faticosamente messo a punto, ma soprattutto la tranquillità del cammino futuro. E questa volta a dispensare dubbi e incertezze è stato il parere della Corte dei conti in risposta a un quesito del Comune di Canegrate. Ma andiamo con ordine.

Una legge e la sua interpretazione

Tutto ruota attorno alla Legge Madia, la quale fissa all’80 per cento la quota necessaria di fatturato dei soci per poter stabile l’in house di una società qual è Accam. Livello che i soci Accam non riescono a garantire, in quanto vi sono, è ormai noto, Comuni che, pur avendo azioni societarie, da tempo non conferiscono. Insomma un problema, che la società, in fase di costruzione del piano industriale, ha dichiarato di voler ovviare da un lato interpretando non alla lettera la normativa (ovvero comunque la maggioranza dei soci conferisce) e dall’altro dichiarando di voler nel frattempo percorrere due vie: accelerare l’ingresso di nuovi soci (che in alcuni casi già ci sarebbero) e cercarne altri. In numero sufficiente per colmare quel 10 per cento che oggi manca per toccare quota 80 e mettersi perfettamente allineati con quanto dice la legislazione in materia.

La mossa del cda

Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo il Comune di Canegrate. Che intanto ha inviato sul tema un quesito alla Corte dei conti. La quale ha risposto che la quota dell’80 per cento è un vincolo da rispettare non “a spanne”, ma in maniera stringente. Ora, occorre dire, che quella della Corte non è una sentenza, ma offre un orientamento che i funzionari dei Comuni tendono a tenere in considerazione. Restrizione, quella della Madia, che rischia così di mettere in difficoltà, oltre che Accam, anche numerose società partecipate in tutta Italia. Ma il mal comune non è un mezzo un gaudio. E per questo il cda dell’inceneritore ha già fatto sapere che presenterà un’istanza al Consiglio dei Ministri per ottenere un chiarimento interpretativo sulla norma in questione.

E ora cosa succede?

Dire che si è punto e a capo è forse esagerato. Ma il nodo c’è ed è fuori discussione che va sciolto piuttosto in fretta. Anche se nel frattempo la percentuale di in house di Accam nel 2018 è salita al 70 per cento. La questione quindi rimane ed è quella di avere soci che a quanto pare non credono, oltre che nel futuro, anche nel presente della società. Già perché il mancato conferimento, oltre che far vacillare lo stato in house, ha anche causato e continua a causa minore entrare. Necessarie come il pane per poter procedere verso il traguardo, rinnovato, del 2027. Eppure, secondo le tariffe di mercato, conferire oggi nell’impianto di Borsano è economicamente conveniente. Come dimostra la richiesta di ingresso in società da parte di Cassano Magnago e Cairate, ma anche qualche Comune che, intenzionato a cambiare, ha trovato tariffe superiori a quelle applicate da Accam.

Sta di fatto però che i mancati introiti ci sono e debilitano quel piano industriale che è stato approvato, ma senza la profonda convinzione di tutti. Tanto che l’assemblea ha deciso di riunirsi di nuovo a breve per valutare quali azioni intraprendere al fine di garantire l’ormai famosa continuità aziendale, da più parti sbandierata, ma che, sempre con maggior fatica, si riesce concretamente a garantire.

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