Fratelli d’Italia e Lega, avanti tutta senza rancori in Regione

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Confermati i dati degli exit poll sui candidati presidente (Attilio Fontana è inattaccabile) rivolgiamo l’attenzione ai risultati dei partiti nella consultazione regionale. Con l’ovvia constatazione che il centrodestra la fa da padrone, irrompendo con il premio di maggioranza a rafforzare il suo strapotere al Pirellone. Di più, quasi pareggiando i rapporti di forza all’interno della coalizione tra Fratelli d’Italia e Lega, che somma al suo 16 per cento (da ufficializzare) il buon risultato della Lista Fontana. In conclusione: 20-21 per cento contro il 25-26 per cento dei meloniani. Per dirla in un altro modo, siamo lì: Salvini cancella i timori della vigilia di una clamorosa debacle in favore degli alleati. La sua Lega, tiene. Anzi, aggiunge consensi rispetto alle precedenti elezioni e, con la Lista Fontana al traino, accorcia la “forbice” e si assesta in una posizione che arginerà le probabili pretese dei Fratelli per ottenere l’egemonia nella futura giunta. E non solo.

Cosa significa tutto ciò? Che si annunciano cinque anni di tregua amministrativa e, soprattutto, politica, al netto di colpi di scena per ora neanche alle viste. Un dato tutt’altro che marginale rispetto alle tante, troppe incombenze – la sanità su tutte – che attendono il nuovo esecutivo e il riconfermato governatore. Con buona pace di un’opposizione che ha impostato la propria campagna elettorale sottolineando a più non posso gli aspetti critici degli ultimi cinque anni di amministrazione. Basti pensare alla gestione della pandemia per affermare la sorpresa per un risultato sì atteso, però non in queste proporzioni.

Il pesante astensionismo (hanno votato soltanto quattro lombardi su dieci) ha fatto pensare a un certo punto a un possibile smottamento degli equilibri politici di Palazzo Lombardia. E’ vero il contrario: li ha rafforzati, riproponendo la coalizione uscente in modo inequivocabile. Forza Italia compresa.

Eppure, la presenza del Terzo Polo e della Lista Moratti come terzo incomodo nel confronto tra centrodestra e centrosinistra avrebbe potuto favorire flussi di voti capaci di indebolire i due schieramenti principali. Non è accaduto, anzi, l’effetto Moratti si è rivelato inconsistente. Il Pd, nonostante tutto ciò che di negativo lo ha o lo sta caratterizzando, nonostante la palpabile disillusione del suo “popolo”, nonostante il traccheggio congressuale, ha evitato una pesante scoppola, come molti temevano. Alla luce del fatto che l’alleanza con i Cinque Stelle non ha prodotto i risultati sperati: i pentastellati lombardi rimangono una forza poco più che residuale rispetto alle esigenze di formare una maggioranza.

Il quadro che ne esce va in scia alla composizione del governo centrale di Palazzo Chigi. Viene facile pensare che lo sbocco delle urne in Lombardia, ma anche nel Lazio seppure con altre considerazioni (lì il centrosinistra è stato scalzato di sella), ricalchi paro paro gli esiti delle politiche di settembre. Se non fosse che allora si votava sulla fiducia per Giorgia Meloni, con un elettorato desideroso di novità. In Lombardia si è votato conoscendo già chi avrebbe ricevuto le chiavi della Regione: un Fontana e una coalizione che arrivano da cinque anni di alti e bassi. A volte più bassi che alti. E allora? La risposta potremmo trovarla nell’astensionismo, segno di grande disaffezione, in senso trasversale, nella politica: alle urne ci sono andate soltanto le persone con maggiori motivazioni e senso civico. A meno che valga l’aforisma attribuito a Mark Twain: “Se votare avesse qualche significato non ce lo lascerebbero fare”. Traduzione: tanto è già tutto deciso, perché cambiare?

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