Il futuro del manifatturiero tra educare e formare

visconti educare formare

di Federico Visconti*

Offellee fa l’to mestee”, sembra un niente ma c’è un mondo di andate e ritorni a rimpiattino in questa frase tra pensiero, azione, figura reale o metafora. “Pasticciere fai il tuo lavoro”, quello che cioè sai fare e nient’altro. Non è farina del mio sacco ma di quello di Roberto Vecchioni. Sono le parole che usa per introdurre El rattin in Galleria, saggio edito dal Corriere della Sera e dedicato al dialetto milanese.

Già, fai quello che sai fare e nient’altro! Ma vale ancora?

Commentando l’evoluzione dei profili professionali richiesti sul mercato del lavoro, il direttore di Ucimu Alfredo Mariotti, ha affermato: “Una volta un ingegnere in azienda viveva per 40 anni di quello che sapeva; oggi già l’anno dopo l’assunzione deve fare della formazione se non vuol finire in fuorigioco”.

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Federico Visconti

Quella dell’offside è un’immagine-forte, che consente di sollevare questioni di vitale importanza per l’industria di casa nostra: la qualità del capitale umano, sia esso costituito dall’ingegnere o dall’informatico, dal manutentore o dal tornitore. Una qualità non fine a sè stessa, ma funzionale al domani delle imprese. Per costruirla, vanno messi a tema i percorsi formativi delle nuove generazioni, il life-long-learning di chi già lavora, il ruolo della Scuola e dell’Università, il contributo delle imprese e della rappresentanza. Tanta roba, troppa roba.

Mantengo il riferimento al calcio e mi concentro su un punto: la gestione del vivaio, cioè dei giovani destinati ad entrare nel mondo dell’industria.

La mia tesi tende presuntuosamente all’assioma: il problema non è formare ma educare, verbo che in latino rappresenta la forma intensiva di educere (trarre fuori) e che, Treccani alla mano, significa:

  • promuovere, con l’insegnamento e con l’esempio, lo sviluppo delle facoltà intellettuali e delle qualità morali di una persona, specie di giovane età
  • sviluppare le attitudini e le sensibilità: il cuore, la volontà, l’ingegno, la fantasia…
  • esercitare il corpo alle fatiche, il braccio al lavoro, la mente alle pressioni …

Se si parla di vivaio, si deve parlare di contenuti. Scuole Superiori, ITS e Università qualche pezzo di strada l’hanno fatto, tant’è che insegnamenti come lean production, intelligenza artificiale, supply chain management … cominciano a popolare i piani formativi. Ma le discipline proposte in aula non bastano. Si deve andare più in là.

Per farlo, prendo spunto dalla Treccani.

“Promuovere con l’esempio”: AAA riferimenti professionali cercasi! In altre parole: bisogna creare i presupposti affinchè tra chi insegna e chi impara scocchino delle scintille. Le occasioni non mancano, nelle aule e nelle aziende: un corso, una tesi di laurea, un tirocinio, una visita agli impianti….

“Sviluppare le attitudini e le sensibilità” …. ad essere ambiziosi, coraggiosi, tenaci, onesti; a riconoscere l’importanza degli errori, delle sconfitte, della meritocrazia. E, non da ultimo, ad aver voglia di imparare. A tal fine, servono strumenti e format sconosciuti fino a qualche anno fa, progettati per stimolare l’apertura al confronto, la curiosità intellettuale, il pensiero critico. La didattica va ripensata alla radice, e non perché c’è di mezzo il Covid.

“Esercitare” a …. lavoro, intrapresa, fatica, …. cura dei dettagli, rispetto delle scadenze, presidio delle relazioni. Dalla grammatica si passa alla pratica “facendo fare esperienza”. Le opportunità non mancano. Simbolicamente: lo studente che fa l’Erasmus, il cameriere, il volontario della Croce Rossa… matura esperienze di vita; il docente che si inventa il debating, il business game, la learning factory, … propone esperienze di vita.

Per concludere: sul vivaio bisogna investire, mettendo sul tavolo quanto necessario, dai progetti ai quattrini. Identico discorso si pone nei confronti di chi è già in campo: la squadra titolare va mantenuta in allenamento e va preparata a nuove sfide. Far finire in fuorigioco un ingegnere potrebbe essere un problema per l’impresa in cui lavora; farvi finire le risorse e il know-how che alimentano la competitività del manifatturiero sarebbe una tragedia per l’intero Paese. Imparare l’arte e metterla da parte non basta più. Bisogna tenerla viva!

*Rettore Liuc – Università Carlo Cattaneo

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