Il governo sotto attacco, i silenzi di Giorgetti

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Aria pesante nel governo di Giorgia Meloni

La comunicazione dell’Università Liuc che il super ministro Giancarlo Giorgetti, ospite venerdì 7 a Castellanza alla festa per i neo laureati, non avrebbe gradito giornalisti rompiscatole attorno a sé, la dice lunga sull’imbarazzo del Governo per quanto sta accadendo a livello giudiziario e non solo. Il proverbiale riserbo di Giorgetti, che denuncia la sua ostica cordialità di matrice laghèe, è noto. Ma di solito le sue uscite pubbliche non sono precedute da inviti alla stampa di restare alla larga. Il momento però è particolare. L’esecutivo Meloni, lo afferma la stessa premier, si sente “sotto attacco da un certo potere costituito che vuole farlo cadere”. L’indagine sulle vicende imprenditoriali di Daniela Santanché, l’imputazione coatta per il sottosegretario Andrea Delmastro e, ora, l’accusa di violenza sessuale per il terzogenito di Ignazio La Russa sono eventi che non passano, né possono passare, come acqua sul marmo.

Ad appesantire il contesto ci sono le aspre polemiche e le diffuse preoccupazioni per la riforma giudiziaria impostata da Carlo Nordio e, a margine, le gaffe di qualche ministro e sottosegretario, come Gennaro Sangiuliano che, in giuria al Premio Strega, esprime il proprio voto e avverte bello bello che prima o poi “proverà a leggere i libri in gara”; e, infine, il turpiloquio di Vittorio Sgarbi al Maxxi di Roma che, pur negli usi e nei costumi dell’irrefrenabile critico letterario e sottosegretario, non aiuta a sostenere l’immagine della compagine di Palazzo Chigi.

Nell’epoca di Silvio Berlusconi si parlava di “toghe rosse” con concreti sospetti di un vero accanimento. Una più pragmatica quanto irritata Giorgia Meloni parla invece di “tentativi di alzare lo scontro da parte di una certa politica, di parte della magistratura e dell’informazione”. Per dirla in un altro modo, le hanno dichiarato guerra. Se sia veramente così, non si può dire. Di sicuro, se da un lato c’è chi rimesta nel torbido e, strumentalizzando, prova ad alimentare l’incendio, dall’altra sono proprio alcuni rappresentanti della stessa maggioranza a metterci del loro, in modo consapevole o anche no. Comprensibile che l’esecutivo si chiuda a testuggine, faccia quadrato attorno ai suoi ministri e, nel caso famigliare di La Russa, si schieri al fianco del presidente del Senato, che difende il figlio.

Nel nostro Paese, si sa, è sufficiente la notizia di un’indagine a carico di qualcuno per ritenerlo colpevole. Non è così, ci pare scontato. E non solo perché tutti sono innocenti fino a prova contraria e, come previsto dalla Costituzione, fino al giudizio di terzo grado. Resta il fatto che l’aria attorno al governo si è fatta greve. Una manna per le opposizioni, fino al punto che i Cinque Stelle presentino la mozione di sfiducia per la Santanché. Iniziativa che avrà effetto contrario all’obiettivo: oltre a non avere i numeri per essere approvata, compatterà ulteriormente la maggioranza.

Ciò detto, c’è chi invoca a ogni piè sospinto le dimissioni di coloro i quali finiscono nel tritacarne mediatico prima ancora che giudiziario. Una forzatura? L’istituto delle dimissioni non è molto praticato nel nostro Paese. Benché esistano esempi commendevoli. L’ex ministra Josefa Idem che lasciò l’incarico per minime irregolarità amministrative nella gestione delle sue case, o Maurizio Lupi che, addirittura, se ne andò dal governo per un regalo ricevuto da suo figlio. Esempi, certo. Motivazioni quasi insignificanti. Nessun paragone irriverente con il caso Santanché, ci mancherebbe. Un momento di riflessione però s’impone. Quanto meno sul clima complessivo che caratterizza il centrodestra, che, ovvio, non è dei più sereni. E spinge sullo sfondo i problemi veri, quelli che interessano la collettività e non i singoli al potere.

Poi possiamo trovare colpe ovunque e in chiunque. Giorgia Meloni sta lavorando bene, con impegno, doveroso riconoscerglielo. Importante accertare se tutti coloro che le stanno attorno sono sulla sua stessa lunghezza d’onda e agiscono in favore della squadra o semplicemente per salvare loro stessi. Per dirne una, le dimissioni di Daniela Santanché risolverebbero molti dei grattacapi della Meloni. Appunto, per dirne una.

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