In piazza coi marocchini: la nostra Qatarsi

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di Massimo Lodi

La festa è lì, la festa è qui. I marocchini a esultare in piazze che una volta non erano loro. Noi a condividerne l’euforia in piazza con loro. Nel concreto, da qualche parte; idealmente, ovunque. Ritroviamo in tanta gioia il gusto del trionfo, che provammo l’ultima volta nell’estate d’un anno fa, a Londra, vincendo gli Europei. Poi basta, nada, adieu. Eliminati dai mondiali, dove En-Nesyri, Bounou, Amrabat e compagnia dominante sono semifinalisti. Mai successo, per una squadra africana. Evviva.

È l’epopea sportiva del successo. È la storia sociale del riscatto. Si vive non solo di questo, ma questo aiuta a vivere. Lo sappiamo bene. Quando ci capitò d’azzerare tutti – e contro ogni pronostico, compreso quello di nos otros italiani – nel mondiale spagnolo dell’82, vivevamo un penoso travaglio nazionale. Gli azzurri di Bearzot servirono alla riscossa. Zoff, Gentile, Cabrini; Oriali, Collovati, Scirea; Causio, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. Cognomi che diedero un nome alla voglia d’ottimismo e rinascita, che sconfissero disagi e rassegnazione, che misero il marchio a un periodo d’imprevisto e stuporoso progresso.

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Massimo Lodi

Il calcio/lo sport sono qualcosa di più del calcio/dello sport. Perciò si capisce il giubilo dei marocchini. E se ne apprezza il tripudio. È cosa di tutti. Appartiene all’anima universale dell’uomo che affronta ogni giorno sacrifici per farcela, e se qualcuno come lui ce la fa, crede nella speranza di cui aveva dubitato. Ecco la valenza spirituale e dunque totale di simili eventi. Non c’è chi non si riconosca nell’urlo di liberazione del poveretto col groppo in gola, quando se la sfanga quotidianamente, e incrocia sguardi e parole obliqui, e teme il diventar perenne delle disparità di partenza nel Paese dove lavora, e aspira a cenni di conforto, fiducia, sostegno.

Talvolta arrivano, nel piccolo mondo che il caso gli ha assegnato. Ma talvolta no. E allora una vicenda esterna e lontana, distante da ogni ragionevole aggancio, si fa d’improvviso vicina e interiore, intima al di là di qualsiasi immaginabile sogno, e assume la sembianza dell’onda travolgente. Non ci dobbiamo meravigliare, e invece solo rallegrare. Loro che segnano il gol della vita, noi che alleggeriamo il segno della delusione per non essere là, nell’Emirato in cui confidavamo di ricevere fastosi onori. Lo alleggeriamo partecipando alla letizia dei marocchini. Gente da sempre come noi, ma da oggi più uguale a noi. Il calcio/lo sport offre occasioni di purificazione dei sentimenti, e ce ne capita una che ha perfino il nome giusto: Qatarsi. Che sarebbe catarsi. Ma nella notte della baldoria, non sarà mica una consonante a far stonare la vocalità, il vocalismo, d’una squadra di pedatori divenuti predatori. Che la caccia gli sia ancora durevole.

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