Io e Lui. Il telefonino (la tecnologia) che ci condiziona la vita

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di Gian Franco Bottini

Questa mattina il nostro SmartPhone (SP) ha fatto le bizze e ci siamo trovati a ragionare ad alta voce con Lui, per convincerlo ad uscire dal silenzio. Alla fine forse ci ha capito, perché, seppur pigramente, ha ripreso a funzionare. Volendo farvi partecipi di questo nostro surreale monologo, ci siano resi conto che in pratica stavamo stendendo una specie di “lettera aperta ad un pezzo di ferro” (e a qualche miliardo di suoi confratelli!) al quale stavamo inconsciamente accreditando una specie di personalità; alla stregua  di Geppetto quando parlava col suo pezzo di legno diventato poi Pinocchio.

In effetti Lui è talmente entrato nella nostra vita che possiamo uscire di casa senza il portafoglio ma senza di Lui, confessiamolo, siamo in ambasce. Lui ci sta costantemente appresso, presente anche nei momenti più privati, diventando sempre più sostitutivo delle nostre capacità con il nostro felice e spesso sciocco consenso. Una sorta di propaggine della quale non possiamo fare a meno.

Probabilmente questa mattina il nostro SP ha avuto un attimo di sbandamento, rendendosi conto di essere oramai adulto con l’obbligo di iniziare ad assumersi delle responsabilità per le proprie azioni. Avrà  pensato agli anni trascorsi.  All’inizio, quando, da pischello, in un amen si era sbarazzato di gettoni e cabine telefoniche facendosi chiamare semplicemente “il telefonino” (anche se allora le sue dimensioni non meritavano certo un diminutivo); poi, da adolescente, quando era diventato “cellulare”, poi ancora  il travolgente “smartphone”. Oggi, che sta sviluppando una sua seppur artificiale intelligenza , il nostro SP è forse stato assalito dal timore di non potersi più “chiamar fuori” di fronte alle responsabilità per le azioni che gli vengono richieste.

Si è reso conto di crescere molto più velocemente di quanto i suoi utilizzatori sappiano fare e che sempre più spesso è Lui a ”dettare i tempi” della loro vita. Lui , che è tutto il giorno sulla rete e ne vede passare  di “cotte e di crude”, ha forse compreso quanto la sua invasiva presenza sia sia stata  determinante nel modificare la socialità dei suoi milioni di utilizzatori. Da qui, forse, il suo attimo di smarrimento odierno.

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Gian Franco Bottini

Noi, pur riconoscendogli i grandi servizi che ci fornisce, non abbiamo certo risparmiato di fargli presente che effettivamente molte negatività della nostra società sono a Lui riconducibili. Basta osservare la fermata di un pullman all’uscita di una scuola per notare che al posto del chiacchiericcio e dei corteggiamenti che ci si potrebbe aspettare dalla una ventina di ragazzi presenti, la maggioranza di loro sta freneticamente rovistando nei propri SP quasi fossero in  crisi di astinenza dopo una mattinata di lezioni.

Così come basterebbe spiare molti deschi familiari, per vedere quanti posti sono riservati agli SP, che ad intermittenza lanciano i loro sfacciati segnali incuranti di interferire sul valore di quei momenti comunitari tanto necessari per cucire i rapporti fra i componenti della famiglia stessa. Basterebbe occhieggiare in qualsiasi ambiente ad alta frequentazione dove il colloquio fra persone sarebbe quasi naturale, per osservare quanta alta sia la percentuale dei presenti che preferisce trafficare in solitudine nel proprio SP, spesso alla caccia del “verbo quotidiano” di improbabili, se non improponibili, “influenzer” (che per chi non si fosse soffermato a pensare significa affidarsi pericolosamente a sconosciuti “influenzatori” delle proprie opinioni).

Basterebbe scorrere la cronaca quotidiana per verificare quanti, anche tragici, danni si consumano  sui “social”, dove presunte verità, o peggio, vengono vilmente diffuse su un campo sterminato e sconosciuto come la rete, incuranti di dove esse vadano a cadere e delle loro conseguenze. Basta osservare come inconsciamente (ma a volte pigramente) molti genitori hanno delegato allo SP il ruolo di primo interlocutore di fiducia dei propri figli alla ricerca dei rimedi per le loro insicurezze e per i loro naturali errori.

Quando il nostro SP ha ripreso a funzionare ci siamo resi conto di averlo rincuorato ma di esserci tirata “la zappa sui piedi”, perché di quanto detto a nessuno si può dare responsabilità se non a noi stessi, completamente al traino di questo inevitabile “progresso”, talmente più rapido di noi da non consentirci la gestione delle ricadute.

Che ciò sia purtroppo vero ce lo conferma il “progresso” stesso (Zuckerberg) che proprio in questi giorni ci comunica che presto potremmo avere una “intelligenza artificiale generale” (AGI) che promette di “svolgere compiti di valore, molto meglio degli esseri umani”. Come dire che la “tecnologia” sa di aver vinta la partita e lei stessa sarà in grado di evitare gli errori che noi non abbiamo saputo evitare o peggio di decidere gli errori che noi dobbiamo compiere. Completamente nelle sue mani.

E’ vero, a quel punto il nostro SP, dotato di tale intelligenza, avrà tutte le responsabilità per ciò che passerà da lui, ma in un tale fantascientifico scenario noi (gli ”esseri umani”) quale ruolo avremo? 

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