La difesa: “Cazzaniga non è il dottor Morte ma l’Angelo che accompagna in Paradiso”

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BUSTO ARSIZIO – Parola alla difesa. Battute finali per il processo “Angeli e Demoni” contro Leonardo Cazzaniga, accusato di 15 morti volontari, di cui 12 in corsia al pronto soccorso dell’ospedale di Saronno. L’avvocato Andrea Pezzangora del Foro di Brescia che lo difende insieme al collega Ennio Buffoli ha chiesto l’assoluzione del medico. “Ho sentito evocare un Leonardo Cazzaniga non diverso da un boia che somministra la dose letale, oppure da una figura simile a un Joseph Mengele. Ritengo fossero toni esagerati. Non corretti. Da una lettura distratta di quei giorni della cronaca giudiziaria mi ero fatto l’idea di un pazzo che andava in ospedale e in base agli umori siringava il primo catorcio. Dopo aver assunto la difesa, la prima domanda che mi sono posto era stata perché scrivere quei dosaggi, perché usare quelle modalità di somministrazione poco performanti se volevo uccidere un paziente? Perché non ho mai trovato nessun trentenne, un giovane magari uscito malconcio da un incidente, oggetto di quel trattamento? La certezza è che Leonardo Cazzaniga non ha mai voluto uccidere nessuno. I colleghi lo hanno contestato perché non era simpatico: chissenefrega, un professionista deve essere bravo, mica simpatico. Che ci fossero problemi tra Cazzaniga e parte dei colleghi era una questione risaputa all’interno del pronto soccorso”.

Poi ancora: “Cazzaniga indossa maschere a seconda delle persone che ha davanti. È prigioniero del suo personaggio e del suo narcisismo, sa di essere bravo, ma sulla sua bravura c’è convergenza sia dei medici che degli infermieri. Ambiva a fare il medico, a curare le persone nella loro integrità. Il suo atteggiamento creava invidia positiva nei colleghi. Era il leader indiscusso del pronto soccorso. Aveva mania di grandezza, era vittima del suo narcisismo, ma l’unica cosa che doveva contare era quella di essere un bravo medico. A noi interessa che fornisse standard di alto livello”.

Il protocollo frutto di pettegolezzi

Pezzangora ha spiegato anche il significato Dell’Angelo della Morte: “La figura evocata da Cazzaniga non è l’angelo sterminatore, ma è l’angelo che aiuta, che accompagna in Paradiso. Questo è Cazzaniga, questo è il significato da dare all’Angelo della Morte. Nessun medico era a conoscenza del protocollo Cazzaniga. Il protocollo è un pettegolezzo alimentato dagli infermieri che qualche sassolino nella scarpa contro Cazzaniga ce l’avevano. Le somministrazioni avvenivano per alleviare le sofferenze dei pazienti accompagnandoli serenamente alla morte naturale. Cazzaniga trova una lacuna nelle linee guida da seguire, si confronta con questa lacuna e cerca di risolverla. Da lì nasce un decalogo, un codice deontologico che disciplina l’esercizio della professione. In sintesi si compone di pochi elementi che fanno riferimento a un approccio etico nella gestione del malato terminale. Non esiste un cliché, l’approccio è calibrato caso per caso a seconda del malato che c’era difronte. Erano tutti pazienti meritevoli di essere presi in cura da tempo dal sistema palliativo. Nel pronto soccorso c’è una lacuna che andava riempita con un approccio etico, empatico che sta alla base delle cure palliative. La mancata presa in carico di questi pazienti da parte della rete delle cure palliative faceva sì che confluissero su Saronno nel reparto di pronto soccorso. Malati per cui era impraticabile un ricovero in reparto o a domicilio”

“È un processo alle streghe – sono asempre parole dell’avvocato difensore – Alla base di questo concetto è stata disegnata l’immagine del dottor Morte. Cazzaniga non ha mai voluto uccidere nessuno, né accelerare la morte di nessuno”. Poi sul nesso di causalità: “Nel momento in cui si dice che la morte è stata causata o accelerata – ha sottolineato il legale – qual è la legge scientifica che mi permette di misurare il grado di sopravvivenza dei pazienti. Non esiste un parametro. Come si fa a misurare quel parametro? Non posso dire che quel dosaggio sia sempre e comunque letale, ma devo verificare se nel caso specifico quella dose, anche in astratto, la dose sia letale. Non ci bastano ipotesi, sospetti e ipotesi: servono certezze rispetto al nesso di causa tra somministrazione e decesso e se non c’è una legge di copertura scientifica è impossibile”.

Processo di morte già in atto

“Questa inchiesta nasce da una mistificazione. È stata fatta una selezione nella raccolta dei verbali sulla base di due parametri, il nome del medico e i decessi. Non sono stati presi in esami pazienti curati col protocollo Cazzaniga che non sono morti. Questo dato non ce l’abbiamo. Dal 2010 al 2014 sono passati 263mila pazienti, morti 248 (0,1%), tra cui quelli  arrivati già morti, i morti con altri medici e quelli di Leonardo Cazzaniga”.

La difesa ha quindi chiesto l’assoluzione: “Quando il processo di morte inizia è irreversibile. Non si può più tornare indietro. I pazienti avevano un processo di morte già in atto. Cosa che risulta da un dato fattuale: arrivano trasportati in ambulanza, ma non è stato richiesto l’intervento in supporto anche dell’automedica perché si è pensato non fosse necessario considerando le condizioni di terminalita’ dei pazienti. Il percorso di morte era iniziato già prima che entrassero in pronto soccorso. I pazienti erano meritevoli di una sedazione palliativa. Non c’erano altre alternative se non sconfinando nell’accanimento terapeutico.  Non c’è causalità tra somministrazione dei farmaci e decesso e quindi il fatto non sussiste”.

Maria Luisa Pennuto: innocente perché senza specifiche competenze

Nell’udienza di giornata è stato il turno anche del medico legale, Maria Luisa Pennuto, accusata di favoreggiamento e omessa denuncia, come gli altri componenti della commissione medica di inchiesta che avrebbe dovuto giudicare l’operato di Leonardo Cazzaniga. L’avvocato che l’assiste, Cesare Cicorella del Foro di Busto Arsizio, ha puntato sulla non competenza dell’imputata rispetto alla valutazione che l’era stata richiesta di effettuare. “La mia assistita – ha detto il legale – convive con dolore per le imputazioni drammatiche contestate. Una storia processuale estrema per la mole di tutti questi dati. L’elemento che potrebbe essere di aiuto per arrivare alla verità è quello del sapere scientifico, la prova scientifica”.

La dottoressa Pennuto, come gli altri componenti della commissione, rischia fino a 4 anni di reclusione. A tanto ammonta la richiesta di pena effettuata nelle ultime settimane dalla Procura. “Parlo di una professionista per anni simbolo delle indagini della Procura di Busto Arsizio. La risposta data dalla mia assistita secondo la Procura era falsa, ma non è così perché esiste il diritto all’ignoranza, il diritto di esprimere di non avere gli strumenti per dare un giudizio, una valutazione adeguata. Se fosse così semplice che senso ha avuto far sfilare importanti professori? La mia assistita non aveva specifiche competenze sulle problematiche farmacologiche e tossicologiche fondamentali per valutare un giudizio sull’operato di Cazzaniga. Lei ha scritto nella relazione non posso fare questa valutazione. La mia assistita ha detto di non avere lo strumento culturale per affrontare la questione. Lei non ha omesso proprio nulla. Esprimere un giudizio di correttezza professionale vuol dire esprimere un giudizio, ma senza conoscenza non c’è giudizio. La frase intercettata è l’espressione dello sconvolgimento di ciò che le era stato detto qualche minuto prima (la comunicazione dell’avviso di garanzia). L’estetica del processo pretende che si concluda sulla base degli elementi logici presenti”

Anche Cicorella ha chiesto l’assoluzione della propria assistita. Per il legale, l’imputata non aveva gli strumenti per poter valutare con correttezza la condotta del Cazzaniga.

Nuova udienza riservata alla difesa in programma lunedì 13 gennaio.

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