La giungla dei supermercati in provincia di Varese

supermercato provincia varese

La grande distribuzione alla conquista del territorio. Un’invasione con la complicità delle amministrazioni civiche, che per fare cassa trovano comodo sostenere interventi spesso impattanti, che, è vero, in diversi casi consentono di recuperare luoghi destinati al degrado, ma, nel contempo, modificano il tessuto urbano, ne snaturano l’identità, lo rimodulano sulle esigenze di chi investe e, scontato ricordarlo, non investe a fondo perduto. Per dirla in un altro modo, l’interesse pubblico va a farsi benedire, piegato a una classe dirigente spesso priva di visione e progettualità.

E’ così che i supermercati avanzano in modo sconsiderato, riempiono ferite urbanistiche decennali, aree dismesse da riqualificare, vecchi edifici che testimoniano un passato manufatturiero glorioso quanto dimenticato. In altri casi si insediano in aree verdi, consumando suolo con le più classiche colate di cemento. Provocano problemi viabilistici o, quanto meno, li aggravano. Il tutto messo a frutto con interventi agevolati da deroghe o varianti agli strumenti urbanistici vigenti, che “passano” nelle sedi decisionali più velocemente di altre incombenze burocratiche e amministrative. D’accordo, i Comuni godono degli oneri di urbanizzazione, gli investitori di ben altri profitti per un’attività commerciale che va imponendosi in modo rapido e, per quanto possiamo sapere, senza una programmazione né locale né, tanto meno, territoriale. Il risultato è una sorta di giungla, dentro la quale ciascuno fa come gli pare.

Lo consentono le normative, soprattutto per la media distribuzione. Basta un’occhiata alla provincia di Varese per rendersi conto di un fenomeno che pare inarrestabile. Naturalmente a discapito dei negozi di vicinato, del piccolo commercio, oramai in crisi un po’ dappertutto. Eppure, nel recente passato c’è stato chi ha colto il pericolo incombente dell’espandersi della grande distribuzione: Busto Arsizio, per esempio, che ha chiuso le porte agli ipermercati. I centri commerciali si sono però insediati nei paesi e nelle città dirimpettaie, spesso a confine, le cui amministrazioni hanno usato il criterio della manica larga. Un singolo stop oggi ampiamente superato, tant’è vero che proprio Busto Arsizio conta decine di punti di vendita di media e grande distribuzione. A conferma di un processo che la pandemia ha di fatto accelerato; considerando che, a livello economico, il settore è tra i pochi che hanno retto alla crisi iniziata già nel 2008 e che l’emergenza per il Covid ha replicato.

Un processo che ora esplode senza freni. Un bene per il contesto socio/economico? La risposta la possono dare analisti, economisti e esperti della materia. Noi ci limitiamo a segnalare una situazione a dir poco incredibile, che, assieme al tessuto urbano, cambia anche quello economico. C’è da credere che lo richieda la domanda, possibilmente sostenuta da precise indagini di mercato. In modo più esplicito, sono anche le abitudini di noi consumatori ad imporre il diffondersi delle grandi strutture di vendita. Che, appunto, finiscono per considerarci sempre più consumatori e sempre meno persone.

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