La lezione della Storia e la memoria mai condivisa

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Qualche decennio fa, in occasione di un 25 Aprile e, successivamente, della Giornata della Memoria, giornali e televisioni dedicarono articoli, servizi, commenti alla cosiddetta “memoria condivisa”. Si cercava, allora, di superare le divisioni ideologiche e politiche per arrivare a una pacificazione nazionale rispetto alla Shoah e, contestualmente, al Giorno del Ricordo, che commemora le vittime delle foibe. Gli auspici espressi in quegli anni non hanno trovato sbocchi, come possiamo constatare anche in provincia di Varese in questi giorni, a Busto Arsizio e nel capoluogo.

La memoria è inevitabilmente diversa, scritta o riscritta dai partiti e dalle appartenenze, dagli equilibri che determinano le prese di posizione rispetto agli eventi storici e alle odierne manifestazioni, alle adesioni o alle condanne, a cui esse si ispirano. In altre parole, nulla a che fare con la Storia (esse maiuscola) ma, caso mai, con la sua interpretazione.

Ha ragione il sindaco di Busto Arsizio, Emanuele Antonelli, quando, nel discorso per commemorare la tragedia degli infoibati dai “titini” jugoslavi, avverte che “la storia è storia, non può essere rigirata a seconda delle convenienze del momento”. Cioè, se non la Memoria, è la Storia che dovrebbe essere condivisa. Ma qui il discorso prende una strada in salita. Sinistra e destra giudicano, analizzano, appunto interpretano, partendo da prospettive opposte, che diventano motivo di scontro politico.

Dice sempre Antonelli che sono i sindaci a dover dare l’esempio. E con loro è la politica tutta che dovrebbe cominciare a ragionare in un’ottica di condivisione della Storia, delle verità storiche che trovano fondamento nei fatti. Certo, revisionismo o, peggio ancora, negazionismo sono aspetti che non aiutano a recuperare lucidità e rispetto assoluto per le vittime di nazisti, fascisti e comunisti che siano.

Dopo di che è necessario che la politica esca dalle ambiguità. C’è una destra che traccheggia attorno a una inevitabile condanna del fascismo, che trova oggi continuità simbolica nei saluti romani, per fare un esempio. Il braccio teso per salutare il Duce, come ha decretato la Cassazione, non sarà reato in senso giuridico; lo è in senso virtuale per richiamare, addirittura esaltare, un periodo che dovrebbe essere considerato da tutti un dramma lungo vent’anni per il nostro Paese. Fascismo che non tornerà più, come probabile, ma le cui scintille restano accese, pronte a diventare un incendio. Questo per dire che non si può essere antifascisti a secondo delle convenienze del momento. Esattamente, come dice Antonelli, non si può rigirare la storia a seconda delle opportunità.

Sull’altro fronte, soltanto qualche tempo fa sono state rimosse le opacità attorno alle foibe, e dopo un lungo, inaccettabile silenzio anche delle istituzioni. Per questo non stupisce che il Giorno del Ricordo sia considerato ancora oggi, da una certa sinistra, un momento di inopportuna memoria. Posizioni che vanno a parare, guarda un po’, nelle esigenze partitiche di recuperare consensi elettorali, prima ancora che nelle convinzioni ideologiche. Questo ci pare il vero nodo da sciogliere, cioè lo sguardo alle urne utilizzando due dolorosi avvenimenti del passato che irrompono nel presente. Tra l’altro, piegando la Memoria (emme maiuscola) per una contrapposizione che non sembra destinata a finire a breve. E allontana la pacificazione che, ottant’anni dopo, dovrebbe essere il risultato della lezione impartita dalla storia. Una lezione che dobbiamo ancora imparare.

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