Non è la peste ma ci complica la vita

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L’emergenza sanitaria per il coronavirus ne sta generando un’altra di tipo economico. Effetto collaterale quasi scontato, prevedibile nei suoi sviluppi negativi. I dati sono tutti, paurosamente al ribasso. E le conseguenze sono purtroppo immaginabili. C’è da domandarsi se siamo stati capaci di combattere l’infezione per il verso giusto, gestendo in modo appropriato uno scenario comunque preoccupante ma, a quanto si sente dire dopo alcuni giorni di contradditori provvedimenti, aggredibile con minore ansia e maggiore razionalità.

Un dubbio, certo. Che nasce anche dagli inutili e deleteri battibecchi della politica, in special modo di quella politica, individuabile in senso trasversale, che ha provato a conquistare consensi sfruttando il morbo cinese. Una vergogna, accanto all’ignobile chiacchiericcio e ad altrettanti allarmi sociali che sono degenerati in psicosi. C’è chi accusa, come al solito, gli “sciacalli” della stampa. Ma non è colpa dei giornalisti se persino gli esperti, virologi di fama, studiosi e quant’altri masticano la materia, si sono contrapposti, finendo per alzare il livello della paura e del nervosismo collettivo, con sbocco nella confusione.

Confuse le autorità, confusissimi i cittadini. I draconiani provvedimenti presi si sono rivelati tutti funzionali oppure, di qualcuno di essi, potevamo e possiamo fare a meno? Secondo Maria Rita Gismondo, direttore del laboratorio di Microbiologia clinica del Sacco di Milano, il coronavirus provoca un’influenza più virulenta di quella normale, ma non così pericolosa come si crede: “Non siamo in guerra”, è stato il suo eloquente commento. Con una buona dose di ragione se persino Roberto Burioni, accademico e divulgatore scientifico, dopo averla bruscamente contraddetta nelle sue tesi le ha chiesto scusa: “Il coronavirus non è un raffreddore ma nemmeno la peste”. E allora, di che cosa stiamo parlando se anche il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, prima di apparire in diretta Facebook con la mascherina sul viso (era necessario?), ha dichiarato che siamo al cospetto di “qualcosa di poco più di un’influenza”?

Dubbi, appunto. A differenza delle convinzioni di mezzo mondo che ci ritiene degli appestati. Nonostante il nostro buon sistema sanitario, le possibilità di cura, la professionalità dei medici. Valori riconosciuti, ma forse insufficienti a fare muro a un’epidemia inedita e, che proprio per questo, ha impedito un approccio più razionale e meno schizofrenico da parte di tutti; a partire dal modello di comunicazione: non è letale ma chiudiamo le scuole, è poco più di un’influenza però istituiamo il coprifuoco, si può curare ma serve la mascherina, vietiamo le messe in chiesa però affolliamo i centri commerciali, limitiamo gli incontri ma continuiamo la vita di sempre. Adesso, però, abbiamo davvero l’obbligo di riprendere in mano la nostra vita, privata e sociale, appena possibile. Appena il quadro di riferimento ritroverà, soprattutto sotto il profilo scientifico e sanitario, le dovute e irrinunciabili certezze. C’è da ricostruire una credibilità internazionale e ridare fiato al sistema produttivo ed economico. Altro che battibecchi della politica.

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