Ospedali unico Busto-Gallarate: lo sterile bla bla bla

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Hanno ragione coloro i quali lanciano l’allarme sulle croniche difficoltà operative in molti reparti degli ospedali di Busto Arsizio e Gallarate. Mancano medici e infermieri e le prestazioni non sempre rispondono all’efficienza e alla funzionalità che dovrebbe caratterizzare l’intero sistema sanitario lombardo. E’ una situazione nota da parecchio tempo, oggettivamente complessa, alla quale la Regione dovrebbe prestare la massima attenzione, stimolando e affiancando i vertici dell’Asst della Valle Olona a risolvere o, quanto meno, a tamponare l’emergenza. Perché di emergenza si tratta e, alla luce della melina politica e amministrativa attorno alla realizzazione del nuovo nosocomio che dovrebbe unire i due presidi di Gallarate e Busto, va affrontata con celerità. Per ragioni altrettanto oggettive: se l’ipotizzata struttura unica viaggia con gli attuali ritmi, ci vorranno un paio di lustri prima di averla a regime; nel frattempo, l’offerta sanitaria territoriale non può e non deve finire depotenziata, anzi, va comunque garantita ai massimi livelli rispetto alla pressante domanda assistenziale.

Ci sembra persino scontato, ma non è detto che lo sia per tutti. A cominciare dalla Regione, che ha le chiavi per risolvere i problemi gestionali e progettuali degli attuali e del futuro ospedale. E alla quale si rivolge appunto il territorio, che proprio in questi giorni ha riacceso il dibattito sull’ospedale unico, per ottenere risposte. Lo affermano i sindaci interessati, lo ribadiscono gli esponenti politici locali. Che a volte puntano l’indice contro Palazzo Lombardia per nascondere le loro indeterminatezze sulla questione del nosocomio in condominio. Di cui si parla da almeno una quindicina d’anni, senza che si sia ancora risolto nulla.

Le posizioni sono diverse, tra chi ha colto l’essenza del problema (serve un presidio che assicuri le eccellenze e diventi attrattivo per gli stessi operatori) e chi punta al consenso popolare, cavalcando l’idea non più sostenibile di chi vorrebbe l’ospedale davanti all’uscio di casa; tra chi traccheggia per obiettivi essenzialmente politici e chi, addirittura, propone referendum, come se la sciura Pina fosse nelle condizioni di valutare dal punto di vista tecnico quale sia la soluzione migliore. Il risultato, al di là delle vere o presunte responsabilità e dei silenzi della Regione, è una generale confusione, che complica gli scenari e, vieppiù, dilata nel tempo l’avvio della fase operativa per realizzare il nuovo ospedale. Oramai indispensabile, alla luce delle moderne e comprensibili necessità.

Tocca agli amministratori delle due città farsi interpreti di una questione irrinunciabile. Il punto è capire se gli stessi amministratori abbiano intenzione di assumersi l’onere di caricarsi sulle spalle procedure complesse, affrancandosi finalmente dall’infruttuoso bla bla bla che da anni caratterizzare la vicenda. Se la Regione ha l’obbligo di definire la futura mappa sanitaria del territorio, i municipi hanno l’onere di studiare, ad esempio, come riqualificare gli attuali edifici dei due ospedali che rimarranno vuoti: infatti, si tratta di una questione urbanistica, non certo sanitaria. A meno che ci si convinca che, anche sull’assistenza ospedaliera, siamo tutti esperti e che il parere dei veri esperti in materia sia soltanto fuffa.

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