Paolo Caccia: il senso del ruolo, il legame col territorio

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Paolo Caccia incontra Sergio Mattarella durante la visita del presidente della Repubblica a Varese, il 15 novembre 2022

Quando la Democrazia cristiana era la Balena Bianca della politica italiana, Paolo Caccia, morto oggi, 3 aprile, a 86 anni nella sua Busto Arsizio, ne fu tra i protagonisti in provincia di Varese e non solo. Ne interpretava lo spirito cristiano sociale e, non a caso, si schierò nella corrente di Forze Nuove, con a capo Carlo Donat Cattin, il cui passato di sindacalista lo avvicinava alla gente e ai problemi che interessavano la società.

Paolo Caccia ebbe una formazione culturale e religiosa che lo spinse fin da giovane ad occuparsi di solidarietà e di impegno a favore delle persone meno fortunate. Una cifra morale che ha mantenuto fino all’ultimo giorno. D’accordo, la politica aveva proprie regole che, in un contesto come quello democristiano di allora, richiedevano prese di posizione all’interno dello stesso partito, dominato dalle correnti e dalle tensioni tra di esse, soprattutto alla vigilia degli appuntamenti elettorali. Una situazione che si rifletteva paro paro in periferia, tra i quattro portabandiera dello scudocrociato varesino alla Camera dei deputati, Zamberletti, Portatadino, Galli e, appunto, Caccia. Quando Luigi Michele Galli decise di uscire di scena, gli subentrò il doroteo Carlo Senaldi.

Caccia era sempre lì, determinato nella sua azione politica, con una dedizione assolutamente commendevole. A un certo punto si avvicinò alla componente di Arnaldo Forlani, mai però modificò i suoi sostegni etici e di politica come servizio. Il tritacarne di Tangentopoli lo fagocitò senza remissione; indagato dal pm Agostino Abate, assieme ai capataz della politica varesotta dei primi anni Novanta, ne uscì prosciolto dalle accuse, ma fortemente provato. Ce lo confidò un giorno, in un incontro che avrebbe dovuto tramutarsi in un’intervista alla quale, egli, chiese di soprassedere: “Certe vicende segnano l’animo, non ne parliamo più”.

Con Gian Pietro Rossi, l’ex sindaco poi senatore, Caccia fu tra i bustocchi che rappresentarono la città in Parlamento e al governo. Formidabili quegli anni, quando Busto Arsizio, prima di perdere il contatto con la politica che conta, poteva alzare la voce nei Palazzi del potere. Formidabili per il lavorio diplomatico e di convincimento che stava a monte delle diverse azioni dei suoi protagonisti, Caccia alla commissione Difesa, Rossi alla Giustizia e all’Industria. Si muovevano nelle sedi romane con il pensiero rivolto al territorio. Loro, con i parlamentari locali degli altri partiti, compresi nel compito istituzionale con una serietà che oggi, purtroppo, non trova molte corrispondenze. Anche per un altro motivo: Busto Arsizio non ha più un solo rappresentante a Roma.

Sono cambiati i tempi, e sono cambiate le persone. E’ cambiata la politica, quella che il sociologo (si era laureato a Trento) Paolo Caccia riteneva tutt’altro che una missione personale. Certo, la cosiddetta Prima Repubblica ha avuto molte ombre, opacità e situazioni ancora irrisolte. Ma aveva in sé il senso del ruolo, che Caccia interpretava al meglio dell’impegno che si era dato fin dalla sua prima elezione a Montecitorio. Ci mancherà, mancherà alla città e a tutta la provincia. Mancheranno i suoi interventi sui giornali, pillole di saggezza che aiutavano a comprendere il mondo in veloce trasformazione. E Dio sa quanto ci sia bisogno di coscienze pulite e lucide, consapevoli di ciò che accade intorno. Coscienze come la sua.

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