Moschea a Sesto, il Comune perde ancora davanti ai giudici. E’ la quarta volta

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SESTO CALENDE – Anche l’ultima battaglia, la quarta, del Comune di Sesto Calende contro l’associazione “Comunità islamica ticinese” è stata persa. Dopo dieci anni si può dire che l’amministrazione di centrodestra – prima guidata da Marco Colombo (Lega) e ora da Giovanni Buzzi (Forza Italia) – ha perso la guerra contro la costruzione di un’area per il culto islamico. Il Consiglio di Stato, ancora una volta, ha dato ragione ai fedeli di Allah. Ed è la quarta volta (su quattro) che i  giudici si esprimono a loro favore.

La sentenza

Il Tar della Lombardia, annullando la delibera del consiglio comunale di Sesto Calende del 2017, con la sentenza numero 1557 del 2020 disse espressamente che «il Comune non può più sottrarsi all’obbligo di esaminare le richieste che mirino a dare un contenuto sostanziale effettivo al diritto del libero esercizio dell’attività di culto, sia nella fase pianificatoria, sia nella fase successiva». Il Tar impose al Comune l’onere di avviare un’attività di ricerca della possibile soluzione, valutando anche il ricorso allo strumento della variante parziale del Pgt. La giunta di Giovanni Buzzi decise di fare ricorso in appello. Ma anche stavolta si è rilevata una strategia perdente, perché è stato respinto praticamente ogni aspetto della difesa del Comune. La sezione Quarta del Consiglio di Stato, presieduta da Raffaele Greco, ha respinto il ricorso e condannato il Comune di Sesto Calende al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio. Ma sopratutto, ha ordinato che la sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa. Va ricordato che a dicembre 2020 i giudici amministrativi di secondo grado si erano già espressi contro il Comune sestese, confermando di fatto una prima sentenza del 2013 del Tar della Lombardia che, anche in quell’occasione, dava ragione alla comunità islamica. Di fatto è una sconfitta su tutta la linea. E che stavolta potrebbe anche essere quella definitiva.

Una moschea in zona industriale?

Sono due i passaggi chiave della sentenza. Con il primo viene evidenziato un atteggiamento discriminatorio tra differenti confessioni religiose. Scrivono i giudici:

i documenti ( presentati dall’associazione e che il Comune chiedeva di non considerare)  sono tutt’altro che irrilevanti, atteso che essi attestano come il Comune fosse stato disponibile a concedere uno spazio (un immobile situato in via dell’Artigianato, mappale 7706) da adibire a luogo di culto in favore di una comunità evangelica e che, venuta meno l’esigenza di tale comunità, con deliberazione di Consiglio comunale n. 22/2021, il Comune di Sesto Calende abbia modificato la destinazione del suddetto immobile “da NA05 (attrezzature religiose previste) a AIC 24 (attrezzature di interesse collettivo)”, facendo pertanto venir meno la destinazione religiosa del predetto immobile, nonostante il fatto che una delle motivazioni addotte (dal Comune) a sostegno del provvedimento impugnato in prime cure (di diniego di individuazione di un’area da adibire a luogo di culto della comunità islamica ticinese) fosse stata proprio l’asserita carenza di aree o di immobili disponibili nel patrimonio comunale ed idonei a soddisfare l’esigenza dell’Associazione istante di disporre di un luogo di culto: … pertanto (l’asserita) generale inesistenza sul territorio comunale di immobili suscettibili di essere adibiti a luogo di culto, è sconfessata per tabulas dalla delibera consiliare depositata dall’appellata.

Effetto espulsivo

Nella parte di diritto la posizione del Consiglio di Stato è inequivocabile:

La Corte Costituzionale ha precisato che in capo alle autorità pubbliche cui spetta di regolare e gestire l’uso del territorio, in particolare in capo alle Regioni ed ai Comuni, grava il dovere di evitare che “si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici ; inoltre è pur vero che la Corte – richiamando la propria sentenza n. 63 del 2016 – ha precisato che il divieto di discriminazione non vuol dire che a tutte le confessioni “debba assicurarsi un’eguale porzione dei contributi o degli spazi disponibili”, dovendosi dare rilievo “all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione”, ma è anche vero che escludere la perfetta eguaglianza tra le varie confessioni – nell’accesso ai contributi o ad agli spazi disponibili – non significa affatto giungere ad impedire totalmente ad una confessione religiosa di ottenere una (pur piccola) area da destinare al culto, non potendosi ammettere alcun effetto surrettiziamente espulsivo ai danni di una confessione religiosa, in violazione dell’articolo 19 della Costituzione.

Moschea a Sesto Calende, il Comune perde ancora davanti al Tar

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