Restaurato il crocifisso del Castelli nella chiesa di Mezzana. «Ora si sa com’è fatto»

somma mezzana restauro crocifisso santo stefano

SOMMA LOMBARDO – «Adesso abbiamo capito come è fatto». Questo il primo commento dei mezzanesi, di Somma Lombardo, quando hanno visto restaurato il complesso ligneo dell’autore velatese Bernardino Castelli all’interno della chiesa di Santo Stefano. Può sembrare solo una piccola fetta del lavoro, ma per la restauratrice Rossella Bernasconi, coordinatrice dei lavori, è «una grande soddisfazione studiare un’opera, metterci mano e poi consegnare tutte le informazioni dell’arte a chi ne usufruisce tutti i giorni». Nello specifico, gli esperti sono intervenuti su un gruppo assemblato che si trova sopra l’arco presbiteriale. E che va a formare «un grande Cristo crocifisso, sospeso in alto sopra l’altare», come spesso accade di trovare nelle chiese. In questo caso, gli step dell’intervento sull’opera e lo studio della composizione sono stati presentati mercoledì sera, 24 marzo, durante il secondo incontro del ciclo “Il recupero della bellezza, tre racconti di restauro”. Un evento promosso dalla delegazione Fai (Fondo ambiente italiano) di Varese.

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Il restauro

Una parte consistente del lavoro è stato il restauro dell’opera. Opera che si presenta come un insieme complesso di sculture in legno policrome e dorate, composto da diverse sculture, come angioletti, rifiniture e un tabellone che porta la data (1693) insieme alla firma dell’artista e quella – «non scontata: un particolarità» – del doratore. Tutte posizionate sopra una lunga trave che sovrasta l’altare. Tra le operazioni effettuate, la pulizia di un consistente strato di polvere che il tempo – complice anche l’altezza – aveva accumulato sul crocifisso. Non solo, Bernasconi e il suo team, composto da Claudia Stopar Legatti e Luca Gaetano, sono intervenuti sulla ricostruzione di porzioni mancanti, «perché alcune parti si erano perse o erano ormai rovinate, come l’aureola del Cristo o le sue dita». Non meno importante il consolidamento della policromia, «in particolare delle dorature». In questo senso, la causa del deterioramento è da attribuire a decenni di riscaldamento nella chiesa: l’aria calda ha asciugato il legno, «che ritirandosi ha provocato il distacco dei materiali posti sopra». Infine sono state stuccate le fessurazioni nel legno.

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L’assemblaggio

Anche lo studio dell’assemblaggio dell’opera ha avuto ampio spazio. Infatti, come ha spiegato Bernasconi, il gruppo ligneo è caratterizzato da singoli pezzi lavorati nel dettaglio e poi messi insieme. «La nostra curiosità era capire come questi pezzi sono stati uniti dopo essere stati scolpiti e dipinti ognuno per suo conto».  In questo senso è intervenuto il giovane architetto Andrea Zanardinoto in città come vice presidente della sezione sommese del Cai – che ha contribuito a fare il rilievo geometrico di tutti i pezzi, «centimetro per centimetro». Un processo che ha portato a elaborare una presentazione per capire come è stato poi costruito tutto il gruppo, con un sistema di ganci e chiodi ben strutturato. E con un risultato che lascia senza fiato.

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Chi era Bernardino Castelli?

L’artista nasce a Velate, nell’area di Varese, nel 1646. Muore a Varese nel 1725. Della sua vita in età giovanile non si hanno molte notizie, un tema discusso anche durante la presentazione. Secondo alcune fonti, Castelli probabilmente maturò nell’ambito della costruzione del Sacro Monte di Varese. Le sue opere sono tutte di carattere religioso e in stile barocco. E si trovano principalmente nel Varesotto. Tra le più note si ricordano i pulpiti (come nella chiesa di San Giulio a Cittiglio), casse d’organo e la cantoria della basilica di San Vittore a Varese. Ma anche gli altari lignei di Caronno Varesino, di Daverio e di Vergiate.

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