Uscite di Draghi e rientro nel progetto 2.0

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di Massimo Lodi

Dopo la visita a Genova, ci saranno altre uscite di Draghi. Il premier va sui territori. Motivo: spiegare perché e come attuare il Pnrr. Una scelta all’apparenza tecnica, nella sostanza politica. Di solito parla coi fatti, ora lascia fare alle parole. Come mai?

Ipotesi. Giudica necessario accendere una connessione sentimentale col Paese. Due anni di prove difficili, sacrifici pesanti, timori mai rientrati. Ok alla quantità e qualità dei provvedimenti di salvataggio dalla pandemia e di rilancio economico, però esiste/circola un tristo malessere sociale. Dunque c’è bisogno, oltre che d’azzeccate misure, di calore umano. D’uno Stato vicino, consolatorio, fidato. Proteso al recupero della dignità evocata da Mattarella nel discorso del reinsediamento quirinalizio: nessuno va lasciato solo. Questione materiale e problema etico.

Senz’altro è questo lo scopo che ha avviato il tour del premier. Però sottende – all’insaputa di lui – un valore di prossimità popolare utile, qualora gli si chiedesse un ulteriore impegno da “civil servant” dopo le venture elezioni.

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Massimo Lodi

Qualunque sia la legge elettorale, e tanto più in caso di svolta proporzionale, nella primavera del 2023 avremo un quadro politico frammentato. Nessuno vincerà con numeri sufficienti a dominare il Parlamento, di conseguenza a formare l’esecutivo. Ci si dovrà rappattumare, com’è accaduto e riaccaduto dal 2018 in poi. Due scenari: o un radical-conservatorismo Meloni-Salvini che, emancipatosi dai suoi litigi e da Berlusconi, riesce a staccare il ticket per la condivisione di Chigi, presidenza e vicepresidenza. O un liberal-riformismo che cerca di comporre la maggioranza versione Ursula: da Forza Italia a centristi vari, Italia Viva, Pd, Leu, rimasugli della diaspora grillina.

Nel secondo caso, e perdurando l’incombenza di ricostruzione tramite Pnrr, la carta Draghi 2.0 risulterebbe giocabile. L’ex presidente della Bce non commetterà l’errore di Monti, fondando un suo partito. Ma chissà che – nonostante la secca smentita di oggi – non accetti di succedere a sé stesso per beneficio generale. Non sarebbe una débacle della politica e invece una conquista pragmatica, come nel caso del bis di Mattarella, convinto a restare dov’era perché miglior soluzione nel peggior momento storico dal dopoguerra in poi.

Un Draghi percepito all’esterno del Palazzo meno distaccato, freddo, algido di quanto lo è adesso, giova al progetto, forse meno fantasioso di quanto può sembrare. In fondo non sarebbe la prima volta che nasce un’imprevista empatia trasversale. L’esempio di Ciampi è lì a testimoniarlo, pur se il legame tra l’ex tecnocrate e i connazionali germogliò dalla presidenza della Repubblica anziché da quella del Consiglio. Forme diverse, sostanza uguale. Un peccato, anzi un guaio, non cogliere il fior fiore in una riveduta moderateria, se i numeri le consentissero di prevalere sulla destra finalmente unita.

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