Delitto Macchi. «Binda vittima di un pregiudizio, ora il risarcimento»

esposito martelli
Nella foto gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, difensori di Stefano Binda

VARESE – «La verità è che questa storia sarebbe dovuta finire 5 anni fa. In sede di udienza preliminare con l’archiviazione delle accuse. Non ci sarebbe dovuto essere nemmeno un processo di primo grado». La storia in questione riguarda l’arresto nel 2016 di Stefano Binda con l’accusa di aver assassinato 29 anni prima la studentessa varesina Lidia Macchi. E a raccontarla, dopo tre gradi di giudizio sfociati nell’assoluzione piena e definitiva di Binda da ogni accusa, sono gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, legali del 52enne di Brebbia.

Forte pregiudizio su Binda

Martelli, riferendosi alle indagini e all’esito del primo grado culminato con una condanna all’ergastolo poi ribaltata completamente in Appello e in Cassazione, parla di «Forte pregiudizio nei confronti di Binda». Esposito spiega come «Siano state tradite le regole del procedimento giudiziario». Perché? «Probabilmente perché il profilo di Binda ben aderiva a quello che si ipotizzava per l’assassino di Lidia – spiegano i due avvocati – La verità è che chi ha valutato gli scritti dell’epoca, ad esempio, non conosceva quel mondo, non conosceva il vissuto dei ragazzi. Grafologia, psicologia non sono scienze esatte. Negli Stati Uniti l’unica prova certa è quella del Dna. E in questo caso il Dna addirittura allontana Binda da Lidia: non c’è traccia di una sua presenza al momento dell’omicidio». Esposito con ironia amara dice «I difensori faranno richiesta di risarcimento per i 5 dolorosi anni appena terminati». Esposito si spiega meglio: «Noi facciamo questo mestiere perché crediamo nel sistema giudiziario di cui siamo parte integrata. In questa vicenda, con incredulità, sino ad un certo punto abbiamo sentito questo sistema contro. Una vicenda del genere è certamente drammatica per l’imputato. Ma lo è anche per i suoi difensori. Si guarda spesso agli avvocati come a chi bada soltanto ai soldi. Non è così: un avvocato è coinvolto. E davanti a un’ingiustizia soffre, si mette in dubbio».

La richiesta di risarcimento

Chi, quasi con certezza, presenterà richiesta per un risarcimento è invece Binda. «Deciderà lui ovviamente – spiega Martelli – Ma questa è la strada che si vorrebbe intraprendere». Per presentare l’istanza i legali hanno due anni di tempo a partire dallo scorso 27 gennaio giorno in cui l’assoluzione definitiva è andata in giudicato. «C’è un tetto massimo di 530 mila euro – spiega Martelli – Il vecchio miliardo di lire. Viene riconosciuto un risarcimento di 250 euro al giorno per l’ingiusta detenzione». I tre anni e mezzo di custodia cautelare in carcere di Binda si potrebbero tradurre in un risarcimento di circa 327mila euro. «La quinta sezione della Corte d’Appello di Milano potrebbe anche decidere di rigettarlo, però. Binda si è avvalso della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. Ma avvalendosi non ha di fatto privato l’indagine di qualche elemento fondamentale. Ha sempre detto di essere innocente e di trovarsi a Pragelato mentre Lidia veniva uccisa. Alibi confermato da alcuni testimoni in sede processuale. Alibi che in primo grado non è stato considerato». Erano emersi, in passato, dettagli, come la presenza di un molestatore nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio, dove Lidia si recò prima di essere uccisa. Presenza confermata da tre donne. Una delle quali fornì anche parte della targa dell’auto bianca in uso al maniaco: VA88. Ma quella pista non fu mai battuta.

I rapporti con Comunione e Liberazione

Infine Martelli chiarisce i rapporti tra Binda e Comunione e Liberazione: «Si è data l’idea che Binda avesse riallacciato i rapporti per poter in qualche modo essere “coperto” ancora prima di essere indagato per l’omicidio. In realtà il tutto si è tradotto in un pranzo tra amici che non si vedevano da decenni. Come avrebbe potuto sapere in anticipo quello che stava per accadere? La verità è che Binda si era allontanato da CL da anni. Non c’è mai stato nessun complotto sullo sfondo di questa vicenda». Vicenda chiusa «Da una sentenza che ci ha restituito fiducia nella giustizia».

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