Giovani e lavoro, ridiamo loro entusiasmo e speranza

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di Gian Franco Bottini

“E’ in arrivo un forte flusso di ritorno dei nostri giovani espatriati in cerca di fortuna!” Questa notizia, comparsa qualche giorno fa su un quotidiano nazionale, ci ha indispettito non certo per il suo contenuto, ampiamente previsto per Brexit e Covid, ma per il tono del quale era intriso l’articolo , quasi si trattasse di annunciare il fastidioso arrivo di un nuovo barcone con i soliti “rompiballe” a bordo. La stessa fonte, probabilmente, qualche tempo fa ci avrebbe riempito di piagnistei per il gran numero di nostri giovani costretti ad espatriare , dimenticando che i più, fortunatamente, non vanno in miniera ma “van fuori” volontariamente e coscientemente, per soddisfare la loro sentita esigenza di ”nuovi incontri culturali, esperienze e conoscenze” , bagaglio indispensabile senza il quale, oggi come oggi, anche la capricciosa fortuna è inutile andarla a cercare.

Negli stessi giorni Draghi da una parte e papa Francesco, da par suo, indicavano nei giovani la fascia sociale sulla quale investire, se si vuole che il nostro Paese non affondi. Ma che bella novità! Già nel 1950 l’allora premier De Gasperi (lo dicono i libri di storia) diceva la stessa cosa e probabilmente la dissero poi tutti quelli che da allora ad oggi si sono succeduti , con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

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Gian Franco Bottini

Se le nascite decrescono non è colpa della “pillola” o dello scadimento morale, ma della mancanza di quelle condizioni economiche e sociali che possano tranquillizzare le coppie giovani sulla possibilità di fare dei figli, mantenendo quel livello di vita al quale hanno fatto l’abitudine. Non neghiamolo: un po’ di questo egoistico sentimento è senz’altro presente fra i nostri giovani, ma va accettato come il segno dei tempi; i tranquillizzanti “dove mangian tre,vposson mangiar in quattro” oppure il più dialettale “ogni fieu el g’ha el so cavagneu” (ndr= il Padreterno ci manda ogni bambino con la sua dote) fanno ormai parte di una archeologia da “Albero degli zoccoli”.

Che il pericolo di affondare sia attuale non è certo difficile da spiegare ; se il numero di chi attinge al grosso calderone nazionale cresce e a questa crescita non corrisponde un ugual incremento di chi nel calderone dovrebbe portare la “biada”, prima o poi il mestolo gratterà il fondo. Di questo semplice concetto nel tempo non si è certamente tenuto conto e, pur restando nel recente, la cosa è facile da dimostrare.

“Stiamo diventando un popolo di vecchi!” si afferma e la ragione sta nella crescita da record della nostra vita media (qualche merito in proposito, oltre che al Padreterno, lo dobbiamo riconoscere alla nostra bistrattata sanità!) ma anche nella spinta artificiosa a voler considerare vecchi, quindi fra quelli che attingono dal calderone nazionale, anche chi vecchio e improduttivo potrebbe non venire considerato: provvedimenti come “quota 100” ne sono l’esempio populista.

Di contro si è cercato di anestetizzare l’incapacità di fornire ai nostri giovani le prospettive di un regolare sviluppo nel lavoro con provvedimenti altrettanto distruttivi , soprattutto dal punto di vista della mentalità, quali il “reddito di cittadinanza” destinato ad avviare molti giovani ad una carriera di assistiti. Quando si ascoltano dei giovani che trovano più conveniente scegliere un reddito di cittadinanza o un’ indennità di disoccupazione piuttosto che un lavoro, seppur a tempo determinato, allora ci si convince degli errori commessi e che ai nostri giovani, oltre che gli entusiasmi, stanno rubando le speranze.

Il Covid sta agendo da “livella”, assumendosi la responsabilità di una situazione che consente un “punto e a capo” che non faccia perdere troppo la faccia alla colpevole politica; pare anche che i mezzi per fare qualcosa di serio, con il focus sul problema dei giovani, ci potrebbero essere. Pensiamo certamente ad interventi di sistema, andando un po’ più in là del bonus per l’acquisto di monopattini elettrici, il massimo che fin’ora il governo ha saputo fare pensando ai giovani !

Pensiamo non agli ininfluenti bonus bebè ma a politiche fiscali e a servizi all’infanzia che realmente servano a togliere alle famiglie quelle preoccupazioni , economiche e pratiche, che oggi impediscono a loro di crescere. Pensiamo ad una Università dove il “valore” abbia sempre la possibilità di esprimersi e di applicarsi consentendo ai nostri giovani quei risultati di successo nella Ricerca che oggi sanno conseguire all’estero. Pensiamo ad un costo del lavoro senza un prelievo fiscale, per favorire l’inserimento nell’ambito lavorativo con retribuzioni di una dignità tale che sollevi i giovani dall’imbarazzante sensazione di sentirsi eterni”garzoni”.

Creiamo le condizioni pratiche, ricostruiamo il rapporto con i nostri giovani, facciamoli sentire non una “specie protetta” ma una parte determinante del sistema, responsabilizziamoli e, soprattutto, diamo a loro fiducia. Se finalmente riuscissimo a farlo, quel “fastidioso” flusso di ritorno del quale parlavamo , con il suo portato di esperienze vissute e di abitudine a stare nel mondo, credeteci, sarà per il Paese tanto “grasso che cola”.

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