Emergenza Covid, all’ospedale di Busto è già fase 2. Il dg: «Di nuovo in trincea»

ospedale busto covid

BUSTO ARSIZIO – L’onda d’urto del ritorno del Covid si farà sentire tra un paio di settimane. E’ più o meno questa la stima del direttore generale dell’Asst Valle Olona Eugenio Porfido sulla base dei dati a disposizione e delle proiezioni. Tanto che l’azienda è già entrata nella fase due ovvero, dopo aver recuperato i primi 20 letti, ha fin da ora triplicato la capacità di ricovero dei pazienti Covid, arrivando a 60 letti più 8 posti in Rianimazione.

Eugenio Porfido, se da un lato il virus non è più sconosciuto, dall’altro continua a destare grande preoccupazione. L’Asst Valle Olona ha programmato quattro fasi per affrontare la cosiddetta seconda ondata. In questo momento qual è la situazione? 
«Abbiamo attivato quella che è la fase 2. In questo momento i posti letti per le degenze ordinarie Covid sono 60, più 8 letti di Rianimazione. Abbiamo già programmato un terzo livello dove i posti in caso di necessità potranno salire a 120, con il raddoppio della Rianimazione e un quarto livello, che porterebbe l’azienda ad avere lo stesso assetto di quando eravamo in massima emergenza. Ovvero 360 posti letto e una trentina in Rianimazione. Ma direi di non correre, e seguire con attenzione l’evoluzione dei fatti».

Il virus però è tornato a correre. Come la preoccupazione. Ma rispetto alle settimane di grande emergenza è cambiato qualcosa? 
«Non è che il virus sia tornato a correre. Il Covid non ha mai smesso di circolare. Diciamo che con il ritorno alla vita normale i collegamenti che il lockdown aveva interrotto sono stati ripristinati. E’ chiaro che con il ripristino della scuola, la mobilità sui mezzi pubblici e le varie attività, che non è che si possano sospendere per sempre, è come se si fossero ricostruite le strade lungo le quali viaggia il virus. Ecco perché tenere e rispettare i comportamenti di protezioni individuale verso se stessi e gli altri è importante».

Insomma, è stata abbassata la guardia, è così? 
«Noi non l’abbiamo fatto. E devo dire che molte cose sono cambiate rispetto a quando tutti ci siamo trovati impreparati. Il piano che prevede quattro livelli di rimodulazione dell’azienda in base alle necessità è solo una delle azioni che confermano che abbiamo lavorato molto su questo fronte».

Cos’altro è stato fatto per far sì che l’Asst possa affrontare il dilagare della pandemia? 
«La comunità scientifica ha condiviso le conoscenze, che fino a pochi mesi fa erano pari a zero o giù di lì. E questo è un altro passo importante. Inoltre oggi abbiamo un bagaglio farmacologico che, pur non essendo specifico, favorisce l’aumento delle risposte immunitarie nei pazienti e consente la guarigione. Non solo: abbiamo lavorato anche sulla dotazione organizzativa e strumentale, potenziando gli impianti dell’ossigeno. Nei prossimi giorni arriverà un macchinario che permette di processare 300 tamponi al giorni: sul doppio turno dei tecnici possono diventare 600. Abbiamo anche messo a frutto tutta l’esperienza sull’approvvigionamento dei dpi. Insomma, siamo più preparati, anche se la situazione è di nuovo completamente mutata».

Ovvero?
«Il primo aspetto che abbiamo considerato, ma per forza di cose dovrà poi essere valutato sul campo, è che stiamo entrando nella stagione dell’influenza. Ci sarà quindi una sovrapposizione e abbiamo previsto un maggior accesso ai pronto soccorso. Inoltre abbiamo lavorato su un sistema di rete, interno all’Asst, ma anche su scala regionale. Con l’obiettivo di non sospendere l’attività medica ordinaria come accaduto nella prima fase del Covid».

Ciò significa che avete previsto all’interno dell’azienda dei presidi dedicati al Covid e altri “free”? 
«Ragionare per comparti rigidi sarebbe sbagliato, perché tutti dobbiamo essere pronti. Abbiamo dimostrato di poter fronteggiare una crisi con meno conoscenze ed esperienza rispetto a ora, a maggior ragione potremo farlo nelle prossime settimane. Detto questo, non abbiamo fatto alcuna distinzione. Busto, rispetto a marzo-aprile, è considerato un ospedale hub. Ovvero, avendo la Pneumologia, le Malattie infettive e la Rianimazione potrà, se necessario, anche accogliere pazienti Covid in gravi condizioni. Ecco, posso dire che se non si arriverà ai livelli di massima emergenza, Gallarate sarà il presidio dedicato alle attività ospedaliere non Covid ordinarie».

Veniamo ai numeri: quelli macro sui contagi positivi allarmano e sembrano non fermarsi. Anzi, si dilatano di giorno in giorno. Poi però ci sono altri numeri che sembrano ridimensionare la situazione. In mezzo c’è l’impatto emotivo della gente, e lo smarrimento di chi non sa più a cosa credere. E’ così impossibile fare chiarezza e avere la dimensione della gravità o meno di questo virus? 
«Non è semplice per molti motivi, alcuni dei quali li ho elencati prima. Però possiamo dire che la prima ondata è stata devastante soprattutto per i soggetti più deboli. E anche per questo motivo l’indice di mortalità era più alto. Ora il Covid trova soggetti più resistenti, ma non è detto che si sia indebolito. Potrebbe essere che chi contrae il virus sia più resistente, ma presenti più criticità e quindi maggiori necessità di cure in terapia intensiva. E qui si torna un po’ all’inizio e al valore di tutte quelle azioni che possono “tagliare” la strada al virus e alla sua diffusione».

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